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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

lunedì 23 maggio 2016

Mille mieli di Parigi

Da un po' avrei voluto pubblicare queste foto, in omaggio a una scoperta, il miele di litchi, fatta per realizzare una ricetta che è un omaggio al miele, anzi ai mieli e ai loro abbinamenti, pubblicata da Burro e miele. Il miele giusto ho potuto reperirlo grazie a un  negozio parigino della Butte aux Cailles (M Place d'Italie): Les abeilles, cioè le api.
 Non abbastanza conosciuto, ha per me il fascino dell'alta specializzazione congiunta alla passione, il quale, bisogna convenirne, è senza dubbio il migliore. Ci si trovano tutti i mieli di tutti i fiori immaginabili e qualcuno in più, da scoprire allungando la mano nelle cellette di legno disposte sulle pareti per assaggiare prima di fare la scelta definitiva. Ci si trovano pure miele alla spina, da portare via nel proprio vasetto riciclato, aceto di miele, idromele, cera e pappa reale, risposte a qualsiasi domanda vi venga in mente sul miele, dalla produzione alla storia all'uso terapeutico, libri sul miele, centrifughe per fare il miele, maschere con velo per proteggersi dalle api che qualcuno va a comprare in serie: l'ultima volta che ci sono passata un ragazzo ne voleva quarantadue. Una volta ho avuto la fortuna di trovare una fetta di favo in cellette, quello che si mangia affondandoci il dito. Il proprietario è un folletto dai capelli bianchi e l'aria un po' duplice, come ogni folletto rispettabile (non è quello sulla foto del sito).
Il miele di litchi serviva per questa ricetta semplicissima di crudité. Da molto tempo non cucino niente di serio, ma sono sempre avida di preparazioni a base di verdure che diano fiducia alle verdure, vale a dire rigorosamente solo di stagione, senza caricarle di formaggio, uova e carboidrati per farle andare giù. Men che meno soia, che non mangio. Questa mi ispirava per i colori e per il tipo di miele, che è un miele forte e sommesso insieme, non troppo dolce anche perché quello che ho trovato io conserva di sicuro molta cera. Ma sono sicura che abbia poco a che vedere con quello che hanno potuto assaggiare loro trovandosi più vicino al luogo di produzione.

Comunque eccola qui. La consiglio preparandola in anticipo per amalgamare i sapori e per ammorbidire un po' la consistenza delle radici, specialmente se biologiche e scelte alla fine della stagione. Diventa soprendentemente allegra e delicata.
L'ho accompagnata con una sorta di galletta-crumble molto speziato ma non piccante che qualcuno aveva portato a una festa.
Confesso però di avere ridotto la dose di miele, non perché diffidente rispetto alla sua presenza nel piatto ma perché amo il sapore dolce a piccole dosi; trovo che sia troppo facile ottundere le sfumature del resto degli ingredienti e che gli zuccheri si debbano sempre più indovinare che percepire.

Faccio eccezione per lo zucchero filato - solo quello bianco ovviamente - perché è irresistibile: non si può non affondarci il viso dentro. E poi in francese ha un nome bellissimo: barbe à papa. Da cui dei pupazzetti con cui ricordo di avere giocato un tempo, pieni di palline e divertentissimi da schiacciare. Avevano un sorriso sereno che è impossibile dimenticare.

Ecco Eleonora, per rispondere alla tua domanda: direi che mi è piaciuta.

venerdì 13 maggio 2016

Sans culottes

«Les ouvrages qui révèlent les crimes des tyrans et les droits du peuple, étaient les sans –culottes des bibliothèques»

Grégoire, Rapport sur la bibliographie révolutionnaire, lu à la séance du 22 germinal an II

domenica 1 maggio 2016

Oggi è il primo maggio

La moda è per le foglie colorate, così. Non sono ancora fiori, solo foglie, ma ne fanno l'effetto, sui boulevard del 13e.




Nel cortile invece cominciano a scaldarsi le rose:

Mughetti, niente. Le piantine ci sono, ma non fioriscono praticamente mai. Vero è che di solito io parto alla fine di aprile, Raro che possa godermi una primavera e un'estate parigine. Quest'anno sarà così perché non ho potuto arrivare a novembre come previsto e recupererò in parte fino alla fine di luglio. Un 21 giugno e un 14 luglio qui, spero. Dovrò tornare prima qualche giorno, recalcitrante, per un concorso inutile che non vincerò, che devo fare perché un altro non ci sarà mai, e che soprattutto se vincessi mi esporrebbe alla possibilità di perdere il posto più di quanto già non faccia il probabile commissariamento dell'Italia per crisi bancaria e per questa bella roba qui che ci regala la UE Ma noi per carità mai rifletteremo e defletteremo dalla restaurazione neofeudale che le politiche economiche della UE medesima comportano, meglio prendersela con "le tasse". (Ah, per quelli che ancora vogliono credere che il problema sia il debito pubblico, il vicepresidente della BCE! ha ammesso già da un paio d'anni che non è così. Del resto bastava vedere i dati dei paesi più in crisi per saperlo. A volerlo sapere.  Allora, a chi serve oggi il controllo esiziale sui conti pubblici?)
Non lavoro bene in questi giorni, dopo una splendida partenza in Normandia. Comincio a essere senza risorse e senza forze; soprattutto non vedo una strada in futuro. Né qui né tantomeno in Italia, dove mi sento da sempre soffocare e dove non faccio nulla che sia ritenuto utile abbastanza in un'amministrazione incapace di valorizzare quel che posso fare perché il lavoro qualificato non le serve. Ce n'è troppo a prezzi da svendita, oltretutto. Qui avrei avuto possibilità, se non avessimo tutti scelto di ubriacarci a morte nel supremo sballo di regalare denaro e diritti, istruzione e ricerca comprese, alla restaurazione liberista del dio mercato, via tecnica moneta unica. Piaceva molto anche a Mussolini questo. Le cosiddette "novità" che mettono in crisi le persone perché "devono abituarsi alle sfide della globalizzazione" hanno oltre cent'anni e l'apparato mentale grazie a cui ce le vendono data da millenni. La privazione e la miseria devono essere accettate con gioia, nello spirito di sacrificio che ci hanno insegnato, perché sono parte dell'ordine naturale delle cose e una "sfida" alle nostre capacità. Forse quelle di meritarci il paradiso dopo averlo regalato in terra a chi ci ha sfruttato da sempre. Henrich Böll, scrittore tedesco del secolo scorso, illustra bene metodi e meriti dei poveri e dei signori, in un racconto che è consigliabile leggere, se si avessero ancora illusioni sulla moneta con cui ci stanno pagando: La bilancia dei Balek.
Ma chi ci ha fatto accettare questo linguaggio aderente alla realtà meno di quello del peggiore marchettaro?
Ma preferiamo non sforzarci di capire, ché è difficile e poi populista, contessa. La Grecia non ci ha fatto rinsavire, né quel che è seguito altrove.
La sensazione più forte è quella di essere spossessata della mia vita e della mia possibilità di prendere decisioni. Il merito in tutto questo è un'illusoria trappola, non perché in Italia sia più o meno apprezzato, ma perché semplicemente le risorse per arrivare a prestare interesse al merito non vengono investite, punto, né si presta importanza al lavoro qualificato o al servizio di alto livello. Questo era vero in passato, ancora più lo è oggi, perché la società viene rimodellata su una diversa struttura  economica che redistribuisce la ricchezza a solo vantaggio della rendita. Il lavoro qualificato viene riservato a pochissimi, perché, oltretutto, non c'è più un destinatario. Quindi i minimi spiragli di vita non bruta che lo scorso secolo aveva aperto al "popolo", ai ceti poveri, stanno venendo richiusi sopra di noi dalla reazione liberista (qui nella sua forma sovranazionale che sorpassa grazie a questa caratteristica giuridica le Costituzioni progressiste del dopoguerra, esautorandole) di cui il nostro ceto politico è ormai totalmente complice, senza più tentare difesa alcuna. La nostra situazione è quella di chi vede richiudersi su di lui il cielo per ritornare nel fondo della miniera di Germinale, e invece di fermare la macchina se la prende con il vicino o con i propri peccati che evidentemente meritano la morte. L'altra mia angoscia è quella oltre che per me, per come potrò un giorno curare i miei vecchi, in un sistema sanitario totalmente smantellato e privatizzato; perché il mio salario mai sarà sufficiente  a dare a loro ciò che hanno dato a me. C'è chi è inquieto per i propri figli; e lo capisco, ma lo strazio di dover abbandonare qualcuno alla morte per mancanza di cure, perché come metteva nero su bianco il volenteroso carnefice Padoa Schioppa "la buona salute, dono del Signore", non è da meno.
Stiamo ritornando sudditi, economicamente sudditi, senza più dignità. C'è chi rimuove e si volge verso "le piccole cose", e cambia canale in televisione. C'è chi dice meglio non pensarci tanto non cambia niente. Io non riesco a farmi sommergere senza guardare in faccia l'onda, senza sapere chi la muove e perché. Solo conoscere può consentire di resistere, di capire.
Ma ci si sente soli e terribilmente impotenti, data la scarsa consapevolezza e conoscenza collettiva, in primo luogo, data poi l'assoluta impossibilità per gli individui di opporsi ai sommovimenti sociali, specialmente quando questi sono mossi dalle forze economiche vincenti, data l'assoluta mancanza di opposizione consapevolmente organizzata e attrezzata. Lo spazio dell'individuo non potrà mai sopperire a tutto questo. Ne sono un esempio le diversioni sui matrimoni omossessuali (doverosi) che paiono rappresentare l'essenza del dibattito politico: ma vatti a sposare se non puoi pagarti un tetto sulla testa, vai a accendere un mutuo se il tuo contratto è rescindibile con una semplice mancetta di tre mesi, vai a adottare un figlio se non sai come potrai pagargli le medicine o l'istruzione, né hai idea se e come gli potrai dedicare del tempo, perché il tuo orario sarà sempre e solo a discrezione del datore. Vai, vai, e illuditi che questa sia la libertà, genitore eterossessuale o omosessuale che tu sia.  
Ci si sente in trappola, e la trappola scatta prima e più duramente sui ceti bassi di cui per estrazione faccio parte, che dispongono oltretutto di meno relazioni e di meno entrature per salvarsi altrove.
Quindi lavoro peggio. Inutile e dannoso, ovviamente. E neppure questo migliora le cose.
Persino in una radiosa mattina di maggio.

P.S.: non mi venite a dire che "bisogna godere delle piccole cose, eh,  ma noi ci lamentiamo troooooppo e abbiamo taaaaaaaanto".
Altra sonora marchettata che tutti, ma proprio tutti, stiamo comprando a man bassa. Quando hai i diritti costituzionali assicurati, (artt. 1 e 35-47, leggeteveli, non mordono, anzi fanno capire molte cose in dieci minuti scarsi, compreso perché si sia tolta l'educazione civica dalle scuole, ma risparmiare è virtuoso, signora mia, dobbiamo far i sacrifici e lo Stato è ladro) allora sì, puoi, fors'anche devi, saper godere delle piccole cose. Quando temi per la tua vecchiaia, per quella dei tuoi cari, dei tuoi figli, quando il primo diritto, quello al e del lavoro (asini o complici alla Fornero astenersi) viene demolito a vantaggio di chi il nostro lavoro lo compra, quando non sai se potrai curarti, scaldarti, quando non puoi permetterti una vacanza, allora non puoi godere più fino in fondo neppure di una giornata di sole. Perché te lo stanno rubando. Non solo: ti stanno pure vendendo l'idea che ne devi cercare la colpa in te stesso.
E tu stai accettando di comprare, zitto, e a testa bassa. Piccole cose, queste?
Fine.

Avevo dimenticato loro:


i lillà.