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Toulouse en érasmienne

lunedì 13 maggio 2019

Parigi val bene una palestra

Questa città ha la perfezione, tranne per due cose: il gelato e le pendenze. Si’, lo so, qualche butte sparpagliata qua e là c’è, ma insomma, anche uscendo fuori porta non è che si possa improvvisare un’escursione decente con andata e ritorno in giornata. Le campagne francesi e in particolare quelle dell’Ile de France sono bellissime, quando non le deturpano con un accanimento degno di miglior causa e la Francia è un paese rurale anche se non sembra. Non per nulla uno dei momenti cruciali dell’anno è la fiera dell’agricoltura che consiglio a chiunque passi di qui di visitare se viene nell’ultimo fine settimana di febbraio. A livello nazionale i contadini hanno visibilità in Francia, se ne parla, sono un attore sociale come altri, diversamente che in Italia, dove non esistono a livello pubblico. Si parla se mai di prodotti « i pomodorini », « l’olio d’oliva » « le mozzarelle », « il vino », come se si facessero da sé, senza intervento umano. Per trovare qualcosa che ne parlasse devo risalire a quando vivevo a Vercelli, dove c’è una fiera importante di prodotti per l’agricoltura. Sgranai gli occhi quando lessi sul giornale locale in prima pagina di famiglie che andavano in gruppo a provare i trattori. Ovvio, mi dissi poi, è lo strumento di lavoro di tutti. Un pezzo di realtà che non mi era mai stato presentato, benché in campagna ci andassi anche in altre regioni. Qui gli agricoltori sono riconosciuti come parte del corpo sociale, articolata al suo interno ma sempre circondata da considerazione e apprezzamento per i risultati del loro lavoro, che spesso alimentano il commercio di lusso. Il cinema e la televisione ambientano le loro storie nelle campagne, ovviamente più mitizzate che realistiche, ma comunque esistenti. Non vado molto al cinema in Italia, ma da noi non riesco a ricordare più di un: « resti di un’Italia contadina che non serviva più a nessuno » a proposito dei morti innumerevoli raccontati in Vajont da Marco Paolini.

Con tutto cio’ un minimo di dislivello decente con cinque ore di cammino qui non si trova.
Morale sono stata obbligata, pena paralisi, a iscrivermi a quel luogo alienante che è per me la palestra. Alienante per le condizioni in cui oggi vengono concepite: rigorosamente sottoterra, rigorosamente con la luce al neon, più o meno variopinta non importa sempre uno strumento di tortura è, e soprattutto tonitruanti di musica criminosa. Poco da fare, per chi scrive qui l’elettrificazione e l’amplificazione sono delitti aggravati dall’efferatezza. Inquinamento acustico al plutonio. Soprattutto per chi vorrebbe soffiare in santa pace accompagnata al più dal discreto sospiro del clavicordo, se proprio non si possono avere le brezze delle cime. Virginale quando vogliamo esagerare.
Il culmine della frustrazione e dello stress, tanto più che le attività concessemi sono molto poche.
La cosa che meno mi convince è il ritmo tutto scatti e strappi e sforzi, invece dei tempi lunghi e degli sforzi prolungati e regolari che lasciano il tempo di interagire con l’esterno anziché rinchiudersi nell’ossessiva ricerca della prestazione cronometrata. 
Adesso capisco perché i miei venti chilometri a piedi colpissero i frequentatori di palestre come fossero un’impresa straordinaria invece che la routine, quando non c’è pendenza.  

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