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Toulouse en érasmienne

sabato 11 marzo 2023

Freddo o non freddo, ecco il dilemma

 Tutti i giorni feriali, la stessa scena.

Arrivo trafelata, accaldata in quella anticamera dove c’è la mia scrivania. Non voglio regalare un minuto di più di vita a un luogo dove conosco solo alienazione senza prospettive, malgrado tutti i miei sforzi professionali e malgrado le mie intenzioni di lavorare in modo leale per un’istituzione che di me e di quanto so fare e immaginare non sa che farsene se non tenermi quieta. Quindi lungo la strada corro, carica di borse e pacchettini, la schiscetta del pranzo e una maglia da indossare non appena mi fermerò perché camminando ho caldo, ma appena mi siedo in un ambiente sotto i 22°-23° rabbrividisco dal freddo.

Mi getto sul cartellino per timbrare strappando quei venti secondi che significano un minuto in più. Poi mi istallo al tavolo dove non arriva mai mai mai un raggio di sole, perché le stanze soleggiate sono riservate a oggetti mal riposti o a chi lì dentro ci passa per sbaglio un paio di volte a settimana, non chi si fa giornate di nove ore, sia mai.

Ingombro come sempre, come il davanzale, perché, come sempre, dopo anni in cui supplico per averli, non ho un armadio, una cassettiera, uno stipo qualsiasi dove riporre un foglio, archiviare una cartella, custodire un lavoro in corso o pochi oggetti di cancelleria. E ancora ancora che per me, freddolosissima in attività sedentarie, ci sia un sano termosifone A GAS alle mie spalle. Motivo per cui, a quel tavolo di anticamera senza sole e senza neanche una lampada che non sia centrale, dove tutti passano ma nessuno si ferma, ci tengo assai. Le prospettive.

Quel giorno sono tutti in movimento. Deve venire il capo in capo a metà mattina. La cosa non mi riguarda, né dall’alto né dal basso. Accucciata nel mio angolino, inizio a sentire un senso di disagio cui sulle prime non so dare un nome. Poi allungo una mano dietro la schiena e sento il metallo. Freddo. Il termosifone è spento. Faccio il giro del piano: tutti spenti. Passo al piano di sopra: gelati.

Inutile rivolgersi ai portieri, troppo presi dal capo in capo. Provo con qualcun altro che sappia a chi rivolgersi. Già perché, mentre una volta avevamo una centrale termica ragionevolmente efficiente, adesso siamo nel mirifico sistema della concorrenza! Il pubblico inefficiente!! Bisogna fare largo alle aziende!!! Loro sì che sanno come fare:  lo dice la UE e Bersani, per dirne uno, ha eseguito.

Di conseguenza, quando si rompe un termosifone, bisogna soltanto:

1) chiamare un numero verde, e già qui c’è un problema, perché di telefono che chiami certi numeri verdi ce n’è uno solo - i dipendenti pubblici fanno telefonate a sbafo! Bisogna tagliare le linee esterne!!

2) parlare con una o un disgraziato istallato chissà dove, che non ha assolutamente idea di come sia fatto l’edificio che non ha mai visto, né di dove sia, men che meno di cosa sia un impianto di riscaldamento, mentre i vecchi operai della centrale termica conoscevano il posto a menadito. Però questo fa risparmiare costi all’azienda che gestisce il lavoro, dato che così può metterci il primo che passa senza formazione veruna: loro si’ che sono tanto brave, le aziende! Lo dice la UE e la UE non sbaglia mai.

3) capirsi con il personaggio in questione, per cui l’istituzione è solo un insieme di codici e numeri.

4) il poveretto ci informa di « avere inoltrato la chiamata » mentre tu rimani lì a sperare che abbia azzeccato e capito.

5) inoltre il poveretto non ha idea alcuna dei tempi di intervento. Sa solo che per contratto « dovrebbero », condizionale d’obbligo, intervenire entro un certo lasso di tempo, che magari sono giorni. Sempre perché, per contratto, sarebbe poco conveniente per l’azienda avere più di un tot di dipendenti da mandare in giro, no? e le aziende non fanno beneficienza, giusto? Ma noi dobbiamo affidare tutto alle aziende, loro sono brave, lo dice la UE che i servizi pubblici vanno liberalizzati e i dipendenti pubblici tagliati, e la UE non è mica come quei boh, stavolta diciamo quei populisti che esprimono riserve, sia mai, se non funziona è solo colpa della burocrazia che va tagliata, mica delle aziende che sul pubblico fanno profitti profitti profitti pagando sempre meno salari e contributi, grazie ai cococo di Prodi e al Jobs Act di Renzi. 

6) E quindi ti tieni i brividi che ormai hanno cominciato a serpeggiare e aspetti alla cieca.

Quasi a metà mattina arriva la persona che ha organizzato l’arrivo del capo in capo. «Sai P., che fra un po’ viene il capo in capo... ». «Ah, già. Sai che siamo al freddo?» «Ah, al freddo... tu sei al freddo? » «Tutti siamo al freddo.» «Hm» Io: «Ma lo sa il capo in capo, che starà al freddo? ».

Venti minuti dopo i termosifoni bollivano.

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