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Toulouse en érasmienne

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venerdì 15 dicembre 2023

Di nuovo

 Dopo un mese di ottobre pâssato a tenere a freno i malanni di stagione ripetuti. Di nuovo febbre tosse mal di gola, l’energia che di colpo scompare e riappare.Di nuovo l’opacità nei polmoni dopo venti giorni di antibiotico. Di nuovo l’aria che ogni tanto scompare. Di nuovo la caccia alla carne nel piatto come se restituisse la vita.

Di nuovo sventole di antibiotico per settimane; di nuovo effetti collaterali pesanti così duri da obbligarmi a sospendere la cura e a cambiare principio per uno che non è efficace perché un dolore simile si sopporta solo se si è in pericolo di vita. Tra l’altro sono allergica a una intera classe di antibiotici, proprio i più efficaci in questo caso e i principi che posso assumere sono pochi. Di nuovo il cortisone che scatena istinto di mangiare perpetuo. Di nuovo le nausee di ore.   

Vado a fare l’orale del concorso febbricitante, in una nebbia, con la pura forza di volontà, ma soprattutto con l’impressione di non reggermi in piedi. Non è neppure troppo difficile, ma sono così rimbambita che su una domanda non proprio della disciplina mia, semplicemente dimentico di sapere l’ovvia risposta che mi torna in mente appena uscita dalla sede del concorso, e mi do’ i pugni in testa. E loro mi avevano anche  chiesto se avevo qualcosa da aggiungere. Devo dire una commissione squisita. Del resto il distacco dal primo candidato dopo lo scritto era tale che non avrei comunque potuto colmarlo neanche con un orale perfetto a meno che costui non facesse scena muta. E di posto, dato il ruolo, ce ne può essere uno solo. Ripiombo a letto svuotata per un’altra settimana. La gente mi sollecita ovunque tutti i lavori e le incombenze rimaste a metà dopo il trasferimento inutile in dieci giorni nella nuova sede durata pochi mesi. Non ce la fo: semplicemente non ce la fo più. Di nuovo le mille beghe piombatemi addosso: la patente perduta nel trasloco, il CAF che ha trasmesso una cifra sbagliata all’Agenzia delle entrate e io che devo restituire trecentocinquanta euro di rimborsi. Il marito di mia madre non fa che umiliarmi, attaccarmi e tormentarmi su qualsiasi pretesto per rendermi la vita impossibile, arrivando a sobillare mia madre stessa, rinfacciandomi tutte le scelte che ho fatto negli ultimi diciotto anni - si diciotto. Non lo fermano la mia depressione, il mio bisogno di calma se non di affetto di cui non è capace dopo quanto accaduto con il ricorso, non lo ferma che stia preparando un concorso, non lo ferma neanche la malattia che per lui non è un impedimento a nulla, quando è la mia. « Ah, non sei da sanatorio » commenta. Segue e controlla ogni cosa che faccio, o che fa la mia mamma, che non può prendere un libro piuttosto che un altro, non può alzarsi e fare qualcosa in un’altra stanza, non può avere un attimo di respiro. Quanto a me, mi viene dietro in cucina per controllare se ho messo un pentolino o un bollitore sul fuoco e quanto ce lo tengo. E sempre perpetuamente a incalzare su cose che io non posso sapere perché richiedono il loro tempo, che non dipende da me e che riguardano la mia permanenza qui, come gli ho peraltro spiegato. La mamma è arrivata a prendermi di forza e portarmi a sedere nel soggiorno, dove fa più caldo ed è soleggiato. Lui se mi vede li’ si risente. E se non ho nessuna voglia di rimanere qui, sono anche straziata all’idea di lasciare mia mamma in quella che sembra una prigione senza sbarre di controllo ossessivo sui minimi comportamenti e gesti quotidiani, perché nulla deve sfuggire a suo marito. Ma è una situazione che mi fa terribilmente male, mina quel po’ di resistenza umana che riesco ancora a alimentare in me, facendomi sentire un peso, un vecchio straccio, un essere orribile che turba la serenità di un vecchio incattivito.

E sono ancora così. Sfinita. Senza futuro. Non riesco a pensare a qualcosa di minimamente complesso e ho il terrore di altre spese inaspettate. Voglio solo leggere in pace, magari al sole. Fa bene il sole addosso sui bronchi e i polmoni malati. Rinvigorisce di colpo. Finché ci posso stare, al sole. 

giovedì 2 novembre 2023

A scoppio ritardato

 Su di me le scenate funzionano a scoppio ritardato. Li’ per li’ tengo duro, e a meno di non rischiare particolarmente grosso, rimango lucida. Un paio di giorni dopo, però, specialmente se non riesco a allontanarmi dalla causa della scenata, mi sento minata alla radice. Svuotata, incapace di reagire, di pessimo umore e come distrutta da una tristezza di cui non mi è nemmeno facile percepire immediatamente la causa.

Non so se sia un processo normale di reazione. Però è devastante.

Ah, l’occasione della scenata è il marito di mia madre. Approfittando dello stato ormai di impotenza di sua moglie e di attuale bisogno mio senza mia colpa, non lo tiene più nessuno nella sua avversione di sempre nei miei confronti, come di tutto il passato di mia madre, che fa letteralmente a pezzi pur di liberarsene. Eppure, se voleva una donna senza passato, non aveva che da andare all’Ecole des femmes.

I patrigni e le matrigne delle favole dovrebbero dare una bella lezione di oggettività alla propaganda giuliva e conformista sulle famiglie ricomposte. Non intendo fare l’elogio del matrimonio indissolubile né della castità post separazione, ma francamente lo sciroppo delle nuove famiglie educate e rispettose che ci spacciano è falso e stucchevole al punto di diventare ripugnante. 

Io, non so. Ho la sindrome del neonato che neanche piange più perché sa che non verrà nessuno. Così è morta Diana, in silenzio. Io il modo di allungarmi a uno sfilatino ce l’ho, ma per il resto, complice la questione di cui non posso parlare ancora, non posso più.