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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

sabato 20 febbraio 2016

Il nome della droga

Per ragioni varie, inclusa la pigrizia intellettuale, i saggi di Umberto Eco non li ho mai letti. Non tenterò quindi di dire qualcosa su ciò che non conosco, prodotto da un cervello tanto brillante, poliedrico e curioso, almeno finché non riuscirò a scuotermi dall'ignavia mettendoci le mani sopra e gli occhi dentro. Sono ancora perplessa, per non dire altro, dalla pochezza di quanto hanno scritto oggi in merito i maggiori quotidiani nazionali - ma si sa, bisogna risparmiare i cervelli, di questi tempi.
(Su Le monde un articolo molto migliore.)

Il suo primo romanzo, Il nome della rosa, invece è una delle letture più belle, divertenti, intelligenti che abbia mai fatto. Quest'anno l'ho utilizzato spesso con gli studenti, in barba ai puristi e ai bigotti di ogni risma, soprattutto per quanto riguarda l'iniziazione alla scoperta e alla costruzione della conoscenza inclusi gli strumenti necessari. È ovviamente molto altro e consiglierei a tutti di leggerlo, scansando con cura l'orripilante film che banalizza proprio la parte più insolita e motrice della trama e dei personaggi implicati. Come si può fare un film su degli intellettuali piantati in cima a un colle rinchiusi nelle loro mura, di tutto spesati, se si riduce il loro rapporto con la conoscenza a una caratterizzazione macchiettistica di disadattati? Come ridurre Guglielmo a un personaggio che non ha realmente vissuto nel mondo, privo di qualunque senso pratico e capacità di azione reale, solo perché conosce a menadito, con passione, Aristotele? Al contrario, è proprio perché conosce a menadito la scienza che è in grado di essere consapevole al più alto livello delle dinamiche degli uomini e delle cose, tentando di governarle per il bene comune. È proprio il romanzo a dirlo, analizzando le rivolte del gregge come dei pastori...
 Sed transeat, se non fosse che certamente sbucherà fuori il solito saputello con "Maleregoledelcinemasonodiverseda...". Le regole del linguaggio possono essere diverse, ma la mistificazione del contenuto per renderlo "alla portata di tutti", vale a dire rassicurantemente mainstream, pure se questo contenuto ha già venduto diversi milioni di copie in tutto il mondo, dimostra solo una cieca superba ottusità di produttori e realizzatori, ben lontana dalla padronanza del "diverso linguaggio" con cui oggi si giustifica qualsiasi banalizzazione intellettuale del contenuto, quando appunto non la sua mistificazione. Campione del genere è James Ivory e meglio che smetta prima di arrivare a Peter Jackson altrimenti cado nel penale. Almeno Ivory sostituisce le idee e l'audacia con i falpalà d'epoca, Jackson con la scala della casa di Barbie: forse per lui è già roba ammantata dalla soggezione dell'antico. Un film che non ha nulla a che vedere con Eco, ma può rendere l'idea di come non sia necessario banalizzare a forza ogni vicenda in una storiella d'amore potrebbe essere ad esempio L'ultima valle di James Clavell, o in campo puramente letterario, La princesse de Montpensier di Bertrand Tavernier o infine questo che supera pure l'originale. Sarà un caso che tutti questi registi vengano dagli audaci anni Settanta?

In un romanzo successivo Eco dà la più azzecata rappresentazione letteraria della droga che mi sia capitato di leggere (non che ami molto il genere in realtà, quindi la mia esperienza è limitata), scritto da chi aveva visto droghe ben più rapidamente devastanti del sempre presente alcool diventare consumo di massa.

"Infatti al centro del suo castello, si diceva, c'era un giardino pieno di frutti e di fiori, dove scorrevano canali pieni di vino, latte, miele e acqua, e tutt'intorno danzavano e cantavano fanciulle d'incomparabile bellezza. Nel giardino potevano vivere solo dei giovani che Aloadin faceva rapire,e in quel luogo di delizie li addestrava soltanto al piacere. Così chi naturalmente era entrato in quel luogo non avrebbe voluto uscirne a nessun costo. (...) Un bel mattino uno di questi giovani si risvegliava in una squallida corte assolata, in cui si ritrovava in catene. Dopo alcuni giorni di questa pena veniva portato al cospetto di Aloadin, e si gettava ai suoi piedi minacciando il suicidio e implorando di restituirlo alle delizie... (...)

Quando avevo dieci anni sono stato rapito dagli uomini di Aloadin. E sono restato dieci anni presso di loro (...) Ero troppo piccolo per essere subito ammesso tra i giovani beati, ed ero stato affidato come servitore a un eunuco del castello, che si occupava dei loro piaceri. Ma senti cosa ho scoperto.

Io per cinque anni di giardini non ne ho mai visti, perché i giovani erano sempre e soltanto incatenati a schiera in quel cortile battuto dal sole. Ogni mattina l'eunuco prendeva da un certo armadio dei vasi d'argento che contenevano una pasta densa come miele, ma di colore verdastro, passava davanti a ciascuno dei prigionieri e li nutriva di quella sostanza. Essi l'assaporavano, e incominciavano a raccontare a se stessi e agli altri tutte le delizie di cui diceva la leggenda. Capisci, passavano la giornata ad occhi aperti, sorridendo beati. Verso sera si sentivano stanchi, incominciavano a ridere, talora sommessamente, talora smoderatamente, poi si addormentavano.

Così che io, lentamente crescendo, ho compreso l'inganno a cui erano sottoposti da Aloadin: vivevano in catene illusi di vivere in Paradiso, e per non perdere quel bene diventavano strumento della vendetta del loro signore [che li utilizzava periodicamente come sicari con il ricatto della privazione del paradiso in questione]. Se poi tornavano salvi dalle loro imprese, di nuovo finivano in ceppi, ma ricominciavano a vedere e sentire quello che il miele verde faceva loro sognare." (...) "Ma tu avevi capito che era solo l'effetto del miele verde..." "Sì la visione era un'illusione, ma quello che sentivo dentro di me non lo era, era un desiderio vero. Il desiderio, quando lo provi, non è un'illusione, c'è." "Ma era il desiderio di un'illusione." "Ma io ormai non volevo più perdere quel desiderio. Era abbastanza per dedicargli la vita".
Umberto Eco, Baudolino, Milano, Bompiani, 2000, pp. 94-97. (Ovviamente il narratore incontra nel romanzo una fine molto triste.)

In questa descrizione c'è tutto, a partire dalla consapevolezza della funzione di controllo sociale svolto dalle sostanze psicotrope più o meno generosamente concesse dai potenti. Ma ancora più insidioso è il discorso sul desiderio: perché quale più squallida sorte si può immaginare di quella di chi, per riconoscere i propri desideri e costruirvi la propria esistenza o il senso di essa, si deve affidare alla chimica somministrata non da benevole mani soccorritrici, ma da interessate, oppressive mani altrui?

Altro che le "libere" scelte dell'individuo che si pontificavano in quegli anni! La rappresentazione perfetta del dominio dell'uomo sull'uomo.

Sit tibi terra levis.



venerdì 12 febbraio 2016

Fermare le onde

Così.
O per farsi un'idea, qui.
Un po' di storia qui.
Colonna sonora.

sabato 2 gennaio 2016

Infine

 Si legge.

Si cucina.
 
 
Si attende, con tremore: "Dovete colpire i risparmi privati e eventualmente chiedere aiuto al fondo salva stati". Cioè portarsi in casa la troika. Cioè andare al macello come la Grecia, come mezz'Europa. Salire noi stessi sul carro del massacro, in nome dei nostri "impegni europei". Parola del consigliere economico del governo tedesco, sul Corsera, il 19 dicembre 2015.
L'intervista è a p. 45 del file linkato.
P.s.: ve l'immaginate un consigliere economico del governo italiano rilasciare un'intervista allo Zeit su una crisi bancaria tedesca? Ce l'hanno avuta anche loro, sì. Hanno salvato 149 banche locali senza neanche prestare orecchio al parere di un compassionevole vicino.
Screanzati.

mercoledì 23 dicembre 2015

'l sol si muore e poi rinasce



Infine. Infine, all'indomani del solstizio, dopo tre mesi di lotte, tormenti, fatica, testardaggine, resistenza oltre il fatidico minuto, pare che anche quest'anno riuscirò a trovare il modo di tornarmene a Parigi.
Per certo ho potuto cambiare una sede di lavoro umiliante, scorretta, mal funzionante che uccideva lentamente nella sua trappola le idee, il sapere, il sorriso e l'equilibrio, con una diversa, dove spero di trovarmi bene e  recuperare un po' di salute a un corpo dolorosamente contratto da troppi mesi di tensione. Il sogno sarebbe una settimana alle piscine termali più calde del mondo, ma non ne ho i mezzi.

A chi si trovasse a vivere un ambiente di lavoro umiliante, vorrei dire di non rassegnarsi e cercare di cambiarlo con tutte le proprie forze. So che oggi non è facile, che il jobs act lo ha reso per molti impossibile. Lo ritengo una perversione aberrante del nostro tempo e del nostro mondo: una cornice mentale da respingere con tutte le nostre forze fisiche e morali.

Ai datori di lavoro farei semplicemente una gran risata sul muso. Perché sanno tutto ma preferiscono persone demotivate e strutture non funzionanti a persone autonome, capaci di pensare e felici,  persino, di fare quello che per contratto devono fare.

Io rido come una matta da ieri. Ancor più quando ricevo missive che si innalzano a cotante vette:
"Preso atto (...), si richiede la consegna delle chiavi e di ogni altro materiale di pertinenza (...) al fine di evitare addebiti relativi ad eventuali ammanchi. Il direttore".
Superfluo precisare che non ho mai avuto in consegna alcun materiale, men che meno allontanandolo dalla sede di lavoro. Che dite, sarà la volta buona che mi rimborseranno il costo delle chiavi?

D'altra parte, quando si è più felici di avere un "ex" che quando lo si vede schizzare di rabbia impotente, coprendosi di ridicolo? ;-).
Una risata vi seppellirà.


 

Quanto a me, vado a dormire. Ho un giusto arretrato :-).


sabato 12 dicembre 2015

... e di cuocerlo la sera

Stavolta il pane. 
Idea nata d'un balzo davanti agli sconfortanti scaffali del supermercato che, ormai ahimé come quelli dei fornai, propongono pane di cartongesso, polveroso e vuoto. Fatto in serie, badando a risparmiare sino all'ultimo granello di tempo, farina, energia di cottura, per realizzare margini di profitto sempre più alti. Per mangiare del pane decente devo aspettare di avere a disposizione le baguettes tradition nelle boulangeries parigine degli artisans boulangers. Un'arte con i suoi maestri, lassù. I maestri si vedono in questi mesi minacciati dalle nuove leggi che consentono l'apertura tutti i giorni e tutto il giorno dei supermercati e dei cosiddetti "punti di cottura" che si limitano a cuocere e smerciare impasti congelati anche diverso tempo prima. Legati alla grande distribuzione, questi punti vendita possono permettersi di tenere aperto tutti i giorni tutto il giorno, mentre le panetterie artigianali dovrebbero o aumentare a dismisura il loro carico di lavoro o assumere nuovo personale che non potrebbero permettersi di pagare il giusto per tenere aperto con gli stessi orari. Il rischio è la chiusura delle piccole attività artigianali (con relativa disoccupazione), il cui giro d'affari andrebbe una volta di più ad aumentare quello della grande distribuzione, che smercia però un prodotto tutt'altro che comparabile, proprio per le sue esigenze di standardizzazione e massimizzazione dei profitti in ogni passo della catena di produzione e distribuzione. Ma come? E la "Libertàààààààà"?????
Tra il forte e il debole la massima libertà danneggia il debole, diceva una volta qualcuno.  Qualcosa di simile avviene già in Italia, dove il pane non ha l'importanza che riveste in Francia, dato il nostro consumo di primi piatti a base di carboidrati, lassù molto meno rilevante.

A questo punto perché non farcelo da noi, visto che siamo ospiti in campagna in un we dalle notti fredde e dalla giornate ancora quasi di fine estate? Lo faccio io. Sia chiaro, non farò mai parte dell'esercito che si autoproduce tutto in casa, perché di ritornare a vivere per impastare e pulire come le nostre ave non se ne parla proprio. Anche coltivare la pasta madre presuppone fare della cucina il passatempo principale e benché sia nobilissima arte, al momento preferisco ancora passare dall'altro lato della mensa. Quanto al decrescitismo all'italiana che tale dedizione conforterebbe, così facile e alla moda tra certe damazze dalle pretese finto alternative quanto molto perbene nel loro consumare, rimango con il dubbio se mille forni casalinghi non siano in realtà più energivori di un unico forno collettivo che lavora per mille famiglie, senza parlare delle impastatrici. Quindi  è stato un esperimento, forse non un unicum, ma
soprattutto un gioco. Che deve cominciare dalle regole, la prima delle quali è: si impasta a mano. La seconda è: facciamo la figura del tipico italico marito che davanti agli scaffali del supermercato, giacché è troppo sforzo segnarsi la lista della spesa, si attacca al cellulare e chiama, seccato, lagnoso e passivo aggressivo quanto basta, la moglie. Cara, che pomodori devo prendere? Non li trovo. Ma scusa, i pomodori sono rossi? Sono di forma allungata? Sono in un barattolo o in bottiglia? Ma la salsa non si fa con il succo di pomodoro? qui c'è "solo" il succo di pomodorooo e via attivamente collaborando alla gestione del quotidiano (inferno per chi li sopporta. Lo confesso: sono rimasta traumatizzata a vita, temo, quando in un viaggio di lavoro una povera partecipante dovette ricevere in meno di un quarto d'ora cinque telefonate dal marito che non sapeva dove fossero i vestiti dei due figli, né quali fossero acconci a una giornata di maggio. Maria Montessori quanto ci sarebbe bisogno di te!).

La mia telefonata era diretta a lei, che molto pazientemente mi ha guidata prima nell'identificare quale farina di forza fosse la più adatta, poi con quale semola accompagnarla, e tutto il tempo del procedimento col rispondere a una serie di sms. "Se raddoppio i tempi di lievitazione posso dimezzare il lievito?" - sì, sono della setta a lievito zero ;-P e credo che la prossima volta lo diminuirò ancora perché è quello che rende il pane simile a polvere - "Posso strapazzare l'impasto?" "Devi!". Si sa che i lievitati richiedono la massima attenzione: "È un'emergenza?" mi ha chiesto quando in un momento culminante l'ho chiamata distrubandola sul serio... Impastare a mano è una goduria, quando non devi farlo per dieci persone tutte le settimane dell'anno. Sentire cambiare la consistenza sotto il palmo e capire quando la pasta ha preso tutta la sua autonomia, soda, compatta, elastica, è imprescindibile se si vuole padroneggiare la cucina.

Gli ospiti nel frattempo si facevano sempre più impazienti e curiosi: "Sicura che stia lievitando ancora?" "Sì" "Guarda che poi non cuoce" "Sì". "Adesso ti si sgonfia" "No". Vero è che il mio lievito zero ha fatto abbondantemente passare l'ora di cena e quella decente per andare a dormire.
Così l'abbiamo infornato di notte e siamo andati a letto in una nuvola di spesso profumo di pasta lievitata che cuoce ricacciando l'umido della campagna e riscalda la casa.
Si racconta che qualcuno, di coloro che fanno le viste di essere molto, molto discreti, ma devono tenere tutto sotto controllo, si sia alzato alle prime ore dell'alba per andare ad aprire lo sportello del forno e controllare lo stato delle pagnotte.

Io mi sono limitata a ritrarle la mattina successiva e le pubblico qui per mostrarle alla mia guida panificatrice:



Il curioso di cui sopra ha decretato che sono divine per accompagnare l'uovo à la coque o al padellino.

Il vicino di casa, nelle sue deliziose novantacinque primavere, non poteva non avere diritto a un assaggio e l'ha divorato come pan di zucchero, portandosene via per provvista una buona metà.

La mia mamma ha voluto gli avanzi di farina e la ricetta.

Io rimango dell'idea che sia impresa festiva e ludica, e per questo, si sa, non possono mancare le rose.




La ricetta è più o meno quella di Nora già sperimentata una volta da inconsapevole esecutrice.

venerdì 4 dicembre 2015

La notte di Natale

Vorrei passarla qui:
Prima a questa serata
Poi ballando fino al mattino, fino a essere zuppa da spogliarmi.
Indossare un impermeabile foderato di pelliccia e dei begli escarpins, dei guanti imbottiti e un grande berretto (sì, sono molto freddolosa).
Tornare a casa a piedi. Con ancora qualche stella. Respirando la polvere del ghiaccio.
Crollare su un grande letto. Nel caldo delle case nordiche.
E chi mi ama sia con me.
 

domenica 15 novembre 2015

Un vieux pays d'un vieux continent


"Il y a deux options :

L'option de la guerre peut apparaître a priori la plus rapide. Mais n'oublions pas qu'après avoir gagné la guerre, il faut construire la paix. Et ne nous voilons pas la face : cela sera long et difficile, car il faudra préserver l'unité de l'Iraq, rétablir de manière durable la stabilité dans un pays et une région durement affectés par l'intrusion de la force. Face à de telles perspectives, il y a l'alternative offerte par les inspections, qui permet d'avancer de jour en jour dans la voie d'un désarmement efficace et pacifique de l'Iraq. Au bout du compte, ce choix là n'est-il pas le plus sûr et le plus rapide ?

Personne ne peut donc affirmer aujourd'hui que le chemin de la guerre sera plus court que celui des inspections. Personne ne peut affirmer non plus qu'il pourrait déboucher sur un monde plus sûr, plus juste et plus stable. Car la guerre est toujours la sanction d'un échec. Serait-ce notre seul recours face aux nombreux défis actuels ?
(...)
De plus, un recours prématuré à l'option militaire serait lourd de conséquences.
Une telle intervention pourrait avoir des conséquences incalculables pour la stabilité de cette région meurtrie et fragile. Elle renforcerait le sentiment d'injustice, aggraverait les tensions et risquerait d'ouvrir la voie à d'autres conflits.

Nous partageons tous une même priorité, celle de combattre sans merci le terrorisme. Ce combat exige une détermination totale. C'est, depuis la tragédie du 11 septembre, l'une de nos responsabilités premières devant nos peuples. Et la France, qui a été durement touchée à plusieurs reprises par ce terrible fléau, est entièrement mobilisée dans cette lutte qui nous concerne tous et que nous devons mener ensemble.

Il y a dix jours, le Secrétaire d'Etat américain, M. Powell, a évoqué des liens supposés entre Al-Qaida et le régime de Bagdad. En l'état actuel de nos recherches et informations menées en liaison avec nos alliés, rien ne nous permet d'établir de tels liens. En revanche, nous devons prendre la mesure de l'impact qu'aurait sur ce plan une action militaire contestée actuellement. Une telle intervention ne risquerait-elle pas d'aggraver les fractures entre les sociétés, entre les cultures, entre les peuples, fractures dont se nourrit le terrorisme ?
(...)
Comment faire en sorte que les risques considérables d'une telle intervention puissent être réellement maîtrisés ?
(...)
Monsieur le Président, à ceux qui se demandent avec angoisse quand et comment nous allons céder à la guerre, je voudrais dire que rien, à aucun moment, au sein de ce Conseil de Sécurité, ne sera le fait de la précipitation, de l'incompréhension, de la suspicion ou de la peur.
(...)
Et c'est un vieux pays, la France, d'un vieux continent comme le mien, l'Europe, qui vous le dit aujourd'hui, qui a connu les guerres, l'occupation, la barbarie. Un pays qui n'oublie pas et qui sait tout ce qu'il doit aux combattants de la liberté venus d'Amérique et d'ailleurs. Et qui pourtant n'a cessé de se tenir debout face à l'Histoire et devant les hommes. Fidèle à ses valeurs, il veut agir résolument avec tous les membres de la communauté internationale. Il croit en notre capacité à construire ensemble un monde meilleur.

Je vous remercie."

Dominique de Villepin, Discorso all'ONU prima della guerra in Iraq, 14 febbraio 2003. La Francia non prese parte alla guerra voluta da George Bush.


La guerra non è mai questione di religione, quasi nemmeno nel XVI secolo. Men che meno di barbarie e civiltà. Quella è polvere negli occhi: vale per trovare carne da cannone a buon mercato. Gli stessi che l'acclamano s'adoprano perché vi siano sempre abbastanza ignoranti, e poveri, e disperati, e perbenisti illusi e ottusi per credere di conoscere il loro quarto d'ora da eroi facendosene confondere e sostanzialmente uccidere. Ma la guerra è tutt'altro: è affare economico. E' soldi, affari, potere, distrazione interna, uscita da crisi economiche gravi e prolungate.

"Mes chers compatriotes,
Ce qui s’est produit hier à Paris et à Saint-Denis près du Stade de France est un acte de guerre et face à la guerre, le pays doit prendre les décisions appropriées. C’est un acte de guerre qui a été commis par une armée terroriste, Daech, une armée djihadiste, contre la France, contre les valeurs que nous défendons partout dans le monde, contre ce que nous sommes : un pays libre qui parle à l’ensemble de la planète. C’est un acte de guerre qui a été préparé, organisé, planifié de l’extérieur, et avec des complicités intérieures que l’enquête permettra d’établir. C’est un  acte d’une barbarie absolue : à cet instant 127 morts et de nombreux blessés.
(...)
J’ai veillé à ce que tous les dispositifs soient renforcés à l’échelle maximale: des militaires patrouilleront en plein Paris tout au long de ces prochains jours. La France parce qu’elle a été agressée lâchement, honteusement, violemment, la France sera impitoyable à l’égard des barbares de Daech. Elle agira, dans le cadre du droit, avec tous les moyens qui conviennent et sur tous les terrains, intérieurs comme extérieurs, en concertation avec nos alliés qui eux-mêmes sont visés par cette menace terroriste. Dans cette période si douloureuse, si grave, si décisive pour notre pays, j’en appelle à l’unité, au rassemblement, au sang-froid et je m’adresserai au Parlement réuni en congrès à Versailles lundi pour rassembler la Nation dans cette épreuve. La France est forte et même si elle peut être blessée elle se lève toujours et rien ne pourra l’atteindre même si le chagrin nous assaille. La France elle est solide, elle est active, la France elle est vaillante et elle triomphera de la barbarie ; l’histoire nous le rappelle et la force que nous sommes capable aujourd’hui de mobiliser nous en convainc.
Mes chers compatriotes, ce que nous défendons c’est notre patrie, mais c’est bien plus que cela. Ce sont les valeurs d’humanité et la France saura prendre ses responsabilités et je vous appelle à cette unité indispensable.
Vive la République et vive la France."
Dichiarazione di François Hollande, président de la République, 14 novembre 2015. Discorso completo qui.