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Toulouse en érasmienne

domenica 31 dicembre 2017

Compleanno, stavolta il mio



Scesero da un taxi, di prima mattina. Faceva ancor buio. Era l’ultimo giorno dell’anno. La giovane donna arrivata alla porta della clinica era accompagnata da una signora sottile ed elegante, con un piccolo chignon sulla sommità del capo. La costruzione era bella, ariosa, con un portico a due colonne, arretrata rispetto alla strada, in una via tranquilla. Dentro i muri erano dipinti di chiaro e il pavimento era di parquet chiaro. “Volevo farti nascere in un posto bello.”
L’aveva cercato a lungo, la mamma in attesa, un posto che fosse bello. “Soprattutto non volevo un posto dove i neonati fossero portati via alle mamme subito.” Trovarlo si era rivelato ancora più difficile, allora. Però la mamma c’era riuscita, malgrado lo scetticismo dei suoi parenti verso quelle che ritenevano poco più che fissazioni. Il giorno prima era stato un giorno normale, ma il ginecologo le aveva detto che il parto avrebbe potuto arrivare in qualsiasi momento. Quella notte si ruppero le acque e all’alba lei chiamò la sua mamma. “Bisogna andare” decretò la nonna che di parti ne aveva passati quattro. La borsa era pronta, il nonno avvisato, il taxi chiamato.
“Signora, ma è sicura che deve partorire?” chiese l’infermiera sul portone della clinica. “Con quel pancino lì... è proprio al termine?”. La mamma era minuta e non aveva mai mangiato granché in vita sua.

Poco prima dell’una era tutto fatto. “Eri sulla mia spalla, cominciavi qui e finivi lì”, mentre le riportavano a letto nella cameretta con la culla accanto alla mamma. Poi arrivarono il nonno e alla fine i tre zii, un po’ perplessi.

In tempi in cui i padri sono sempre, finalmente, in sala parto, a completare insieme qualcosa che si è fatto insieme, questo quadro sembra ancora più lontano. La mamma di quel mattino del 31 dicembre partorisce sola, senza il suo uomo, e forse lo attende, forse lo spera, che la curiosità sia più forte, che una parola di tenerezza vi sia, che una visita si compia, che un passo, una voce si facciano udire in quel posto bello così a lungo cercato e finalmente trovato.
Una carezza.

Lei non dirà mai una parola a sua figlia su tutto questo. Quel parto resterà nella memoria familiare e personale un affare di donne, donne che non si smentiscono l’un l’altra, donne che soffocano e non conoscono il dolore e le lacrime. O comunque non ne parlano. Oggi è sua figlia che piange per la prima volta per quel parto così solitario, per quel dolore mai espresso ma sicuramente di pietra, per quella mamma così sola e innamorata, giovane e sola anche in seno a una famiglia che non l’ha mai stigmatizzata, mai emarginata. Donne che accolgono la nuova arrivata come si deve in una famiglia amorosa e piena di carezze e di sorrisi. Una famiglia che le vorrà bene.
Ma in cui qualcosa, in modo oscuro, non detto ma percepito, mancherà.

Donne che quel che c’è da fare si fa, come avrebbe detto l’Agnese.

Non arrivò mio padre, l’uomo che fu e sarebbe restato per sempre il grande amore e forse l’unico vero di mia madre. Malgrado un matrimonio e un compagno, arrivati molti, troppi anni dopo. Cosa sia un padre orgoglioso di sua figlia, cosa sia un padre, cosa sia esserne figlia io non l’ho mai saputo. Cosa sia avere una mamma felice accanto all’uomo che ama riamata neppure. Vi fu un’altra gravidanza, questa volta conclusasi con un aborto e non con un parto (per fortuna!), come lui avrebbe desiderato anche nel mio caso. Al figlio avuto con sua moglie andò peggio: conobbe diversi episodi di tossicodipendenza da eroina. Nipote di un ufficiale di carriera, mio fratello fece il militare nei paracadutisti e la cosa parve aiutarlo, in un modo per me incomprensibile.
Non l’ho mai conosciuto.

L’uomo che devo chiamare mio padre, oggi scomparso da tempo, era figlio di un militare sostenitore della dittatura fascista e del colonialismo italiano al punto di lasciare l'esercito alla soglia della promozione a colonnello pur di non giurare fedeltà alla repubblica. Fascista rimase fino alla morte. Suo figlio si rivoltò contro di lui, contro la storia della dittatura e dell’Italia che venivano tramandate in famiglia. Dovette ricostruire tutto da zero, scoprire quanto gli avevano nascosto sul suo paese e sul regime. Militante politico anche nel suo lavoro, coltissimo, intelligente, crebbe e visse sentimentalmente totalmente immaturo e impotente. Incapace di vivere assumendo la propria condizione come compagno e come padre. Per me fu una macchia bianca nelle emozioni e nella coscienza.
Un interdetto.

Da lì viene la consapevolezza di quanto sia essenziale vivere le cose per poterle superare, per quanto a volte appaiano azzardate. Ciò che rimane dentro di noi come un macigno sono le esperienze non fatte, i momenti non sbocciati, i desideri non messi in atto, el potenzialità respinte. Divengono blocchi insuperabili i momenti vissuti solo nella fantasia.
Sempre da lì anche una certa scarsa simpatia per coloro che pretendono di voler proteggerti da te stessa come scusa per la propria pavida, comoda, noncurante passività.

La relazione fra i miei genitori riprese. Quando la mamma tornò a lavorare la direttrice del centro, donna elegante, distinta, intelligente, impegolata lei stessa in una storia d’amore con un uomo intelligente e non facile, che conosceva bene mio padre, lo chiamò e gli disse: “L. e L. ormai esistono e tu non puoi ignorare questa realtà.”

Quest’uomo che improvvidamente aveva rischiato una gravidanza con una donna molto più giovane e alla prima travolgente esperienza d’amore, rimarrà nella sua vita (e purtroppo nella mia) per decenni come fugace presenza.

Non mi riconoscerà mai.

Oggi il posto bello dove sono nata è sempre bello.

Lì vicino mi stanno ridisegnando la schiena.
Uomini. E padri orgogliosi.

Non ita reducem
progeniem noto
raptam a gelido
mater expectat
ut ego fervida
expecto te.
Sed poena barbarae
et brevis morae
animam nimium
vexat amantem
timore et spe.

2 commenti:

  1. Un abbraccio, Pellegrina del tempo, tra le pieghe di ricordi imperfetti, di fragilità umane, di domande senza risposta

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  2. Ale, grazie! Che piacere sapere che ci sei, che mi leggi ancora, e proprio su questo post, poi.
    Buon anno!

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