È andata così: se vuoi partire, non chiedere più di avere la postazione di lavoro a norma e gli ausili modestissimi e banali per il computer che farebbero stare meglio la tua schiena. Anche se c’è scritto sulla tua idoneità lavorativa. E beccati una stampante fotocopiatrice di quelle grandi e grosse a tre metri che potrebbe stare tranquillamente altrove e che toglie spazio di lavoro a tutto il precario gruppo che gestisci e con cui, senza mezzi, nemmeno la cancelleria, tenti di far andare avanti una struttura di cui non importa nulla a nessuno. Senza poter aprire la finestra perché tutte le zanzare che la Raggi non fa disinfestare (dobbiamo risparmiare! Le RegoleUeuropeee!!!!) hanno nidificato qui sotto, e sarebbe di cattivo gusto chiedere una zanzariera, lo capisci da sola, no?
Ora so cosa vuol dire vivere in terra di camorra. Non geograficamente, mentalmente.
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mercoledì 12 febbraio 2020
domenica 19 gennaio 2020
I proclami della domenica sera o sia incontro coi piddini
Oggi visto discreta mostra sui pittori ungheresi a Roma nella prima metà del Novecento. Benché vi sia un video di Mussolini in visita alla loro esposizione nel 1938, i curatori riescono a non pronunciare mai la parola “fascismo” o “regime fascista” e a non fare motto su quale destino riservo’ il duro regime filonazista ungherese a questi artisti durante la guerra e a quello cui è principalmente consacrata la mostra, Molhony-Nagy. L’arte è Arte, quindi non ha storia.
Forse no.
Più tardi al tavolino di una gelateria due ragazzi, chiaramente militanti politici, stanno rifacendo il mondo, come a tutti capita, a base di sardine, pesce poco apprezzato, ma sempre meglio del loro aborrito rivale, e riforme costituzionali. Quello più sveglio, forte accento emiliano, proclama, procurandomi un sussulto, la necessità di abolire più o meno il parlamentarismo, soprattutto bicamerale, in quanto ormai inadatto, a cosa non si sa. O meglio, io un’idea del cui prodest l’avrei. Lui apparentemente un po’meno.
Dopo una mezz’ora di questo andazzo non ce la faccio più. Con il tono più distaccato e calmo che riesco ad assumere mi volto e fissandolo negli occhi: “Vede, io non ho nessuna simpatia per Salvini. Ma dopo quello che ho sentito voterei persino lui, pur di fermare un simile stravolgimento del nostro ordinamento costituzionale e dei diritti che garantiva.” E alzo il coturno.
Nei suoi occhi credo di avere visto un sentimento non proprio pacifico.
Ma a questa gente che sta distruggendo il nostro patto sociale bisogna far capire che si deve fermare.
O sparire.
Forse no.
Più tardi al tavolino di una gelateria due ragazzi, chiaramente militanti politici, stanno rifacendo il mondo, come a tutti capita, a base di sardine, pesce poco apprezzato, ma sempre meglio del loro aborrito rivale, e riforme costituzionali. Quello più sveglio, forte accento emiliano, proclama, procurandomi un sussulto, la necessità di abolire più o meno il parlamentarismo, soprattutto bicamerale, in quanto ormai inadatto, a cosa non si sa. O meglio, io un’idea del cui prodest l’avrei. Lui apparentemente un po’meno.
Dopo una mezz’ora di questo andazzo non ce la faccio più. Con il tono più distaccato e calmo che riesco ad assumere mi volto e fissandolo negli occhi: “Vede, io non ho nessuna simpatia per Salvini. Ma dopo quello che ho sentito voterei persino lui, pur di fermare un simile stravolgimento del nostro ordinamento costituzionale e dei diritti che garantiva.” E alzo il coturno.
Nei suoi occhi credo di avere visto un sentimento non proprio pacifico.
Ma a questa gente che sta distruggendo il nostro patto sociale bisogna far capire che si deve fermare.
O sparire.
sabato 4 maggio 2019
Un ministro della repubblica...
... non apostrofa i cittadini dandogli il nome di un parassita di cui ci si libera solo uccidendolo, signor Salvini. Neanche quando sono molesti, cioè protestano. Soprattutto quando sono molesti. Soprattutto quando protestano. Anche se non si è d'accordo. Soprattutto quando non si è d'accordo. Anche se usano metodi discutibili. Soprattutto quando usano metodi discutibili. E nemmeno, capisco che sia ancora più difficile da capire, li tratta con condiscendente paternalismo, raccomandandogli l'una o l'altra dieta, paragonandoli a esseri bisognosi di tutela familiare perché protestano.
Men che meno li si apostrofa servendosi del gergo che loro riserva già una parte politica molto precisa, quella più vicina, probabilmente, a un partito di cui la Costituzione, su cui lei non ha certo dimenticato di avere giurato, proibisce la ricostituzione nel nostro paese, in ragione dei disastri, dei massacri e della lacerazione civile che ha provocato in Italia e esportato in mezzo mondo.
Perché, non è difficile da capire, oltre al peso generale che questa scelta lessicale comporta, significa spalancare le porte a chi quel gergo usa, giacché sottintende di sposare appieno la definizione e la valutazione della realtà e degli attori sociali date da quella precisa parte politica, con tutto ciò che ne consegue.
Perché, al di là di questo, denota, nella sua figura politica, una singolare debolezza argomentativa e retorica che non giova alla sua immagine né al prestigio del suo ruolo istituzionale. Non è un segreto che lei abbia puntato molto nella sua carriera politica sulla reputazione di grande comunicatore. Purtroppo non è quello che si è visto all'opera in questa occasione, anzi.
I cittadini non sono sudditi, non sono servi della gleba e non sono esseri di limitata autonomia. Hanno la sua stessa dignità e lei è lì per garantirla, non per sminuirla. A quello ci pensa già la UE, nel caso non se ne fosse accorto, ultimamente.
Non importa quale contesto temporale o congiuntura più o meno opportunista possano averle dettato quelle parole. Sono sbagliate e inquietanti, quindi doppiamente sbagliate. E basta.
Men che meno li si apostrofa servendosi del gergo che loro riserva già una parte politica molto precisa, quella più vicina, probabilmente, a un partito di cui la Costituzione, su cui lei non ha certo dimenticato di avere giurato, proibisce la ricostituzione nel nostro paese, in ragione dei disastri, dei massacri e della lacerazione civile che ha provocato in Italia e esportato in mezzo mondo.
Perché, non è difficile da capire, oltre al peso generale che questa scelta lessicale comporta, significa spalancare le porte a chi quel gergo usa, giacché sottintende di sposare appieno la definizione e la valutazione della realtà e degli attori sociali date da quella precisa parte politica, con tutto ciò che ne consegue.
Perché, al di là di questo, denota, nella sua figura politica, una singolare debolezza argomentativa e retorica che non giova alla sua immagine né al prestigio del suo ruolo istituzionale. Non è un segreto che lei abbia puntato molto nella sua carriera politica sulla reputazione di grande comunicatore. Purtroppo non è quello che si è visto all'opera in questa occasione, anzi.
I cittadini non sono sudditi, non sono servi della gleba e non sono esseri di limitata autonomia. Hanno la sua stessa dignità e lei è lì per garantirla, non per sminuirla. A quello ci pensa già la UE, nel caso non se ne fosse accorto, ultimamente.
Non importa quale contesto temporale o congiuntura più o meno opportunista possano averle dettato quelle parole. Sono sbagliate e inquietanti, quindi doppiamente sbagliate. E basta.
domenica 31 dicembre 2017
Compleanno, stavolta il mio
Scesero da un taxi, di prima mattina. Faceva ancor buio. Era l’ultimo giorno dell’anno. La giovane donna arrivata alla porta della clinica era accompagnata da una signora sottile ed elegante, con un piccolo chignon sulla sommità del capo. La costruzione era bella, ariosa, con un portico a due colonne, arretrata rispetto alla strada, in una via tranquilla. Dentro i muri erano dipinti di chiaro e il pavimento era di parquet chiaro. “Volevo farti nascere in un posto bello.” L’aveva cercato a lungo, la mamma in attesa, un posto che fosse bello. “Soprattutto non volevo un posto dove i neonati fossero portati via alle mamme subito.” Trovarlo si era rivelato ancora più difficile, allora. Però la mamma c’era riuscita, malgrado lo scetticismo dei suoi parenti verso quelle che ritenevano poco più che fissazioni. Il giorno prima era stato un giorno normale, ma il ginecologo le aveva detto che il parto avrebbe potuto arrivare in qualsiasi momento. Quella notte si ruppero le acque e all’alba lei chiamò la sua mamma. “Bisogna andare” decretò la nonna che di parti ne aveva passati quattro. La borsa era pronta, il nonno avvisato, il taxi chiamato. “Signora, ma è sicura che deve partorire?” chiese l’infermiera sul portone della clinica. “Con quel pancino lì... è proprio al termine?”. La mamma era minuta e non aveva mai mangiato granché in vita sua. Poco prima dell’una era tutto fatto. “Eri sulla mia spalla, cominciavi qui e finivi lì”, mentre le riportavano a letto nella cameretta con la culla accanto alla mamma. Poi arrivarono il nonno e alla fine i tre zii, un po’ perplessi. In tempi in cui i padri sono sempre, finalmente, in sala parto, a completare insieme qualcosa che si è fatto insieme, questo quadro sembra ancora più lontano. La mamma di quel mattino del 31 dicembre partorisce sola, senza il suo uomo, e forse lo attende, forse lo spera, che la curiosità sia più forte, che una parola di tenerezza vi sia, che una visita si compia, che un passo, una voce si facciano udire in quel posto bello così a lungo cercato e finalmente trovato. Una carezza. Lei non dirà mai una parola a sua figlia su tutto questo. Quel parto resterà nella memoria familiare e personale un affare di donne, donne che non si smentiscono l’un l’altra, donne che soffocano e non conoscono il dolore e le lacrime. O comunque non ne parlano. Oggi è sua figlia che piange per la prima volta per quel parto così solitario, per quel dolore mai espresso ma sicuramente di pietra, per quella mamma così sola e innamorata, giovane e sola anche in seno a una famiglia che non l’ha mai stigmatizzata, mai emarginata. Donne che accolgono la nuova arrivata come si deve in una famiglia amorosa e piena di carezze e di sorrisi. Una famiglia che le vorrà bene. Ma in cui qualcosa, in modo oscuro, non detto ma percepito, mancherà. Donne che quel che c’è da fare si fa, come avrebbe detto l’Agnese. Non arrivò mio padre, l’uomo che fu e sarebbe restato per sempre il grande amore e forse l’unico vero di mia madre. Malgrado un matrimonio e un compagno, arrivati molti, troppi anni dopo. Cosa sia un padre orgoglioso di sua figlia, cosa sia un padre, cosa sia esserne figlia io non l’ho mai saputo. Cosa sia avere una mamma felice accanto all’uomo che ama riamata neppure. Vi fu un’altra gravidanza, questa volta conclusasi con un aborto e non con un parto (per fortuna!), come lui avrebbe desiderato anche nel mio caso. Al figlio avuto con sua moglie andò peggio: conobbe diversi episodi di tossicodipendenza da eroina. Nipote di un ufficiale di carriera, mio fratello fece il militare nei paracadutisti e la cosa parve aiutarlo, in un modo per me incomprensibile. Non l’ho mai conosciuto. L’uomo che devo chiamare mio padre, oggi scomparso da tempo, era figlio di un militare sostenitore della dittatura fascista e del colonialismo italiano al punto di lasciare l'esercito alla soglia della promozione a colonnello pur di non giurare fedeltà alla repubblica. Fascista rimase fino alla morte. Suo figlio si rivoltò contro di lui, contro la storia della dittatura e dell’Italia che venivano tramandate in famiglia. Dovette ricostruire tutto da zero, scoprire quanto gli avevano nascosto sul suo paese e sul regime. Militante politico anche nel suo lavoro, coltissimo, intelligente, crebbe e visse sentimentalmente totalmente immaturo e impotente. Incapace di vivere assumendo la propria condizione come compagno e come padre. Per me fu una macchia bianca nelle emozioni e nella coscienza. Un interdetto. Da lì viene la consapevolezza di quanto sia essenziale vivere le cose per poterle superare, per quanto a volte appaiano azzardate. Ciò che rimane dentro di noi come un macigno sono le esperienze non fatte, i momenti non sbocciati, i desideri non messi in atto, el potenzialità respinte. Divengono blocchi insuperabili i momenti vissuti solo nella fantasia. Sempre da lì anche una certa scarsa simpatia per coloro che pretendono di voler proteggerti da te stessa come scusa per la propria pavida, comoda, noncurante passività. La relazione fra i miei genitori riprese. Quando la mamma tornò a lavorare la direttrice del centro, donna elegante, distinta, intelligente, impegolata lei stessa in una storia d’amore con un uomo intelligente e non facile, che conosceva bene mio padre, lo chiamò e gli disse: “L. e L. ormai esistono e tu non puoi ignorare questa realtà.” Quest’uomo che improvvidamente aveva rischiato una gravidanza con una donna molto più giovane e alla prima travolgente esperienza d’amore, rimarrà nella sua vita (e purtroppo nella mia) per decenni come fugace presenza.
Non mi riconoscerà mai.
Oggi il posto bello dove sono nata è sempre bello.
Lì vicino mi stanno ridisegnando la schiena. Uomini. E padri orgogliosi.
Non ita reducem progeniem noto raptam a gelido mater expectat ut ego fervida expecto te. Sed poena barbarae et brevis morae animam nimium vexat amantem timore et spe.
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