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per gli scribi

Toulouse en érasmienne

giovedì 12 marzo 2020

Alle cinque del mattino

Anche quando la notte è tranquilla mi capita sempre di svegliarmi a quest’ora.
Sollevarsi sui cuscini, respirare un po’ meglio, liberarsi del catarro.
Infilarsi il termometro, già che ci siamo.

Oggi continuo a sentirle di lontano. Le sirene.
Non le copre ancora lo sferragliare dei tram.

Mi struggo per non essere un medico, per non poter lottare con loro. Ma se anche lo fossi, ne avrei la possibilità? Mica possiamo assumere tutti, bisogna risparmiare! E mica possiamo assumerli per sempre: ad oggi la sanità assume, sì, ma non per coprire i vuoti di organico creati da decenni di politiche scellerate. No, si fanno contratti precari, ancora una volta.

Meglio che torni a dormire, mi dico.
Perché in mezzo a tutto questo continua a serpeggiare una preoccupazione: e se non dovessi sentire l’arrivo del medico fiscale?
Sono un dipendente pubblico e mi sono ammalata di venerdì: ovvio, volevo andare al mare.
Ho l’influenza (speriamo) forse una bronchite (speriamo) e quindi può capitare, come ognun sa, di addormentarsi profondamente durante il giorno: potrei non sentire il campanello? No, ovviamente: se non lo sentissi, sarebbe come minimo perché sono andata in palestra.

Così da anni, ogni volta che sono malata, attacco un gran cartello accanto ai citofoni, pregando che i condomini non lo stacchino, in cui scrivo a caratteri cubitali il mio numero di telefono, supplicando il medico fiscale di chiamarmi se non dovessi sentire il campanello, ché tanto di casa non esco.

E poco importa che in questo momento il residuo SSN abbia altro a cui pensare.

Non riesco a dormire senza agitazione. Il che ovviamente giova al recupero psicofisico.
Come dimenticare il sinistro personaggio privatizzatore occulto dell’INPS che pagava i medici precari in base a quante malattie riuscivano a revocare? Persino l’ordine dei medici aveva censurato questa clausola contrattuale.

Albeggia.

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