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lunedì 21 aprile 2014

(Auto)Regali che danno soddisfazione

Arrivare a mezzanotte alla Gare du Nord, aver con sé le due valigie di cui si parlava qualche post fa,


doversi rintanare in due linee di metropolitana tirandosele appresso per traversare tutta Parigi; decidere di investire 23 euro in un taxi (per me sono preziosi, perché significano rinunciare a qualcos'altro: un concerto, un libro, un disco, un giorno di vacanza e relax fuori città, una spesa biologica) e farsi trasportare fino alla porta di casa.
Dopodiché baguette con formaggio e vino rosso.
E buona notte, fino al lavoro da finire che mi aspetta oggi.
Oxford è al di là del mare. Mi ha riempito gli occhi, la mente e il corpo di serenità e lavoro intenso e felice. Anche se il "servizio pubblico" in Inghilterra ha tutt'altro stile che quello francese. Di Oxford riparlerò ancora - spero di avere il tempo e la concentrazione per farlo, almeno.
Raramente sono stata così soddisfatta e serena in vita mia.


Qui la cour è piena di rose e tulipani.


In quella del vicino i glicini sono esplosi.


A Oxford i primi boccioli cominciavano appena a far capolino sui tronchi legnosi (Balliol college library).



domenica 6 aprile 2014

Stramaledetta sia

Sì, proprio così: stramaledetta sia. Lo dico e lo ripeto, consapevolmente: stramaledetta sia la malefica quanto insalubre passione anglosassone per costruire case di cemento e vetro di nessun valore, sigillandocisi dentro e respirando solo grazie a rumorosissimi quanto dannosissimi impianti di climatizzazione.
Per non parlare del consumo energetico che richiedono, che quando ti esortano, poi, a non chiedere di cambiarti gli asciugamani tutti i giorni, gli faresti il bondage, con i medesimi, mandandoli in giro per la città il sabato pomeriggio all'ora di punta. (Non che a me dia problemi tenere lo stesso asciugamano, al contrario, come tutti è quel che faccio a casa, ma diciamo che save the planet a furia di asciugamani e ventole pare una vera presa in giro, sì?)

Uno spettro s’aggira per l’Inghilterra, pardon Oxfordshire, pardon la sua città eponima, pardon quella specie di paradiso in terra che va da Parks a Merton Street. Paradiso in terra, sì. Se non fossero le ventole.
Lo spettro è ormai il terrore di ogni lodge che si rispetti, dove si presenta annunziato da due valigie che si contraddistinguono l’una per le dimensioni da pilastro di cattedrale gotica e l’altra per il peso specifico da metallo raro. Arriva, ovviamente, al calar della sera. Ha l’aria pallida e surreale di chi passa molte ore lontano dalla luce del sole (sottoterra, per la precisione, è uno spettro eccentrico). La questione è sempre la stessa: per adagiare i suoi lenzuoli, per favore, un cubicolo che sia lungi da qualsivoglia apparecchiatura meccanica funzionante a motore. Sì, piuttosto va in giro con la candela. No, non ha caldo in Inghilterra, ad aprile, con le nuvole e il vento e la pioggia. Sì, è qui per lavoro e non può passare le notti insonni ad ascoltare concerti di cacofonia contemporanea. Se proprio volesse goderseli, partirebbe su una nave da crociera, ché come motorizzano lì, nemmeno su un cantiere. No, dormendo non passa: ha provato di tutto, dal seppellirsi sotto le coperte alla pinta di sidro, non funziona.

La odio. Li odio. Non ne lascerei pietra su pietra, pardon, granello su granello, di quelle case lì. Ché il cemento, già brutto di suo, questo è: sabbia impastata e fragile, mal isolante e facile da sgretolare.
Ma si può, dico, si può, essere in un posto così e vivere perpetuamente immersi in un’onda sonora paragonabile alla pista di un aeroporto quando sta per partire una flotta di bombardieri tutta nel medesimo istante? Si può trovarsi fra le mani un simile giocattolo prezioso e delicato, perfettamente calibrato nel suo equilibrio originario, ed incastrarci a forza ventole inesauste attive 24h? quando sarebbe così semplice poter aprire una finestra e respirare l’aria degli infiniti giardini di questo loco, ascoltando il cinguettio di primavera? Non paia idilliaco, perché qui è la realtà.
E invece.

Al bancone i portieri tentano invano di resistere. Le loro strategie sono molteplici. Uno ti rimpalla all’organizzazione che prenota le stanze, che dio ce ne scampi, nulla ha a che fare con loro. Pare la privatizzazione delle ferrovie britanniche, quando ogni  mansione era affidata a una squadra diversa di una impresa diversa: una pacchia, organizzativamente parlando. Ah, ma la privatizzazione rende tutto efficace ed efficiente, eh. Guai dubitare, sarai mica uno spettro comunista? E se vuoi parlare invocando pace anziché stridore di catene con l’essere invisibile che ti ha prenotato la stanza devi attaccarti al telefono.  Che ti manda un idraulico. Che cade dalle nuvole e va a controllare la caldaia dei silenziosissimi scaldabagni: roba solida e antica che non manda fiato alcuno. Che poi ti viene dietro quando ti metti a giocare a Sherlock Holmes: ti arrampichi su scale a chiocciola, scendi nelle cantine, apri finestre su retro cortili, ti aggiri nei vialetti tendendo l’orecchio al malefico rumore. Dietro una serie di oggetti chiaramente posti lì a sbarrare la strada ecco due magici interruttori: toh, basta spegnerli e “Peace” fa il bravo Ron. Eh, già: peace, not love. Specie quando, la sera, torni in camera e trovi il biglietto: li ho riavviati, in caso mi chiami al cellulare. Inglese, of course, e con i forfait i cellulari stranieri non li chiami, non funziona proprio il tuo, di telefono.  La mattina dopo una lunga notte, seconda telefonata: “Mandiamo un ingegnere” – sì certo. Mandi chi le pare, ma per favore stasera mi spenga quell’inferno dalle 7 pm alle 8 am. Eh ah oh uh.

Il giorno dopo, fortunatamente, parto.

Seconda scena: per cortesia una stanza lontana da macchine, ventole e tutto il resto. Ah, certo, con un tempo così, chi ha bisogno dell’aria condizionata? Edificio moderno con magnifica finestra sul parco, larga quanto un’intera parete della camera e piombata. Se non fosse per il ronzio, penetrante quanto quello di tutte le zanzare del pianeta radunate in un metro cubo. La cucina. Davanti alle finestre. Poveretti, li capisco: lì sarebbe davvero difficile lavorare senza ventilazione. Riattraverso il parco. Per fortuna il portiere capisce la situazione e mi cambia stanza. Pace, non amore, perché le finestre essendo sigillate l’unica forma di areazione prevista è appunto condizionata, non neutralizzabile e per mia sfortuna mi provoca mal di testa e un principio di sinusite. Finché, oh meraviglia! scopro dei minuscoli was ist das apribili. La mia notte lascerebbe incantato un igienista: piena di spifferi (le aperture sono su due lati della stanza che ha la doppia esposizione), ma di certo con un gran ricambio d’aria.
La mattina dopo interpello il portiere: la stanza è silenziosa, per carità, mille grazie. Ma non si potrebbe avere una semplice stanza con una semplice finestra? Sa, di quelle anticaglie fuori moda che si aprono e si chiudono?
Signora, lei ha prenotato una camera economica! (intendendosi per economica 50 euro per una singola con bagno in comune). E poi le altre stanze danno sulla strada (dove passa sì e no una macchina ogni quarto d’ora) c’è rumore. Guardi, non è certo quel rumore lì che può crearmi problemi… Ah, beh, se cambia la sua prenotazione con una stanza più costosa, non c’è problema. Lì avrà la finestra.

Il fantasma si agita sempre più.

Già. Chi l’avrebbe detto che poter aprire una finestra e respirare l’aria del pianeta dovesse essere un lusso.


Scuotonsi le catene.