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Toulouse en érasmienne

sabato 12 febbraio 2022

Riassunto: le ragioni di fuga

 E insomma proviamo a tirare le somme di questa mia disperata furia nei confronti del luogo di lavoro.

Cinque anni e mezzo fa, concorso esterno per la qualifica superiore dopo sette anni di immobilismo, quelli dell’austerità espansiva. La normativa renziana impedisce di fare le progressioni interne come è sempre stato. Il concorso esterno ha vincoli stringenti di ammissione, i concorrenti sono oltre un centinaio, molti nomi che conosco cadono alla prima prova (ma io sostengo che in un concorso la fortuna ha un peso enorme e questo non è necessariamente un segno della loro incapacità). Io resisto e come me altri interni. Non vinco, come previsto, però entro in graduatoria (altrettanto previsto) ai primi posti, ed è un felice risultato, dopo i vincitori e gli esterni che per legge ci devono essere ogni tot interni.

Tre anni fa, veniamo a saper che la graduatoria non verrà fatta scorrere « È destinata a non scorrere mai » sono le parole dell’amministrazione. Sindacati: chi non si mette in mezzo, chi è complice e collaboratore dell’amministrazione, la quale ha deciso di tagliare i posti di livello alto diminuendo il numero delle strutture e quindi demolendo il servizio e rendendolo più difficile e scomodo di accesso per l’utenza, la quale ne avrebbe al contrario un grande bisogno. (Bisogna ridurre il debito pubblico: l’ha detto la UE, quindi se l’ha detto lei, è la cosa giusta da fare e che questo lo paghino i cittadini più deboli che sono quelli che più usano i servizi pubblici facciamo finta di non saperlo mentre cianciamo di inclusione.) Il tutto mentre ironia della sorte, il da tutti virtuosamente riprovato governo Conte I proroga tutte le graduatorie fino al 2021.

Altri tentativi di portare dalla nostra parte membri dell’amministrazione cadono nel vuoto perché i miei colleghi, a parole sempre furiosi, vengono colti da attacchi di immobilismo, rivelandosi per parolai, e io, dopo avere smosso cielo e terra per trovare i contatti, non oso proseguire da sola come se parlassi a nome di tutti e mi fermo anche io. Errore.

Due anni fa l’amministrazione decide un ulteriore piano di tagli delle strutture alla Melfi, si quel genere di cose per cui se ti ammali più della media paghi pegno, con il risultato che in capo a pochi anni nessuno si può più ammalare. Poi arriva la pandemia, tutto si blocca, io mi ammalo, probabilmente non di Covid ma all’epoca chi poteva testarsi, e scopro che in confinamento sto molto meglio che in ufficio. Dimagrisco, mi rassereno, divento un figurino. Riposo, sapendo di non dover rendere conto a nessuno se non sto in ufficio all’ora spaccata (ci si era messo anche un mezzo sadico mobbizzatore che sfruttava ogni appiglio formale per tormentare il personale facendolo vivere nell’ansia e nella paura senza motivo). Ringiovanita e piena di energie sto proprio bene con me stessa, tristezza per quel che accade fuori a parte. Mi sento liberata.

Quando ritorno al lavoro in presenza il sadico non c’è più, ma mi rendo conto che questa pausa mi ha permesso di comprendere la profonda e irrimediabile estraneità che le condizioni di lavoro hanno scavato fra me e il luogo dove devo operare. La struttura in sé sarebbe stimolante e interessante, anche se il lavoro che faccio non è quello che avrei voluto nella vita. Ma un sistema perverso di scaricabarile, inadeguatezze umane e tagli di fondi la hanno ridotta da decenni a una fatiscenza di cui vedo con chiarezza perché conosco il mio mestiere come sarebbe perfettamente risolvibile. Non mi si danno i mezzi, come non posso avere neppure il materiale di facile consumo che vengo invitata a acquistare da me. Non se ne parla neppure, perché non si paga per lavorare, punto, altrimenti non è lavoro: è mafia. (Sì è proprio questo il taglio della spesa pubblica perché debbbitopubblicobruuuttooo!! L’ha detto Cottarelli che è tanto una brava personaaa, così disinteressata e Ueuropea, poi.)

Ne discende una sensazione deprimente e oppressiva di impotenza e di inadeguatezza, anche per senso del dovere verso ciò che so andrebbe fatto, di sensi di colpa per l’impossibilità di compierlo e per amore verso una struttura molto bella che vedo lasciar degradare verso la distruzione non solo nell’indifferenza ma con la complicità di tutti.

Nel frattempo la normativa cambia e si riaprono le progressioni interne. Chiediamo quindi che la nostra idoneità venga riconosciuta nel calcolo dei titoli, come prevede del resto la legge. Mentre i nostri colleghi più fortunati che il passaggio l’han già avuto si dimenticano bellamente di noi al punto da negare la nostra esistenza, il sindacato, che pure aveva per primo ventilato questa possibilità di ripescare gli idonei in graduatoria, si rimangia tutto in seguito a una trattativa interna che porta alla smentita di quanto detto da parte di un ducetto locale di cui ci è ormai impossibile dimenticare il nome. La nostra idoneità non vale nulla al confronto con altri tipi di titoli di cui sono abbondantemente provvisti i colleghi che in quella graduatoria si collocavano ben dopo di noi, o che addirittura quel concorso non lo avevano neppure tentato o non lo avevano passato. La sola persona che si fosse realmente presa a cuore la situazione della mia struttura muore improvvisamente lasciandomi una volta di più totalmente sola. 

Alla fine dell’anno va in pensione il mio capo, che da tempo ripeteva la sua intenzione di lasciarmi il posto, il che non sarebbe stato del tutto peregrino visti i miei titoli e la mia esperienza. Ma questa persona aveva il torto di appoggiarsi sempre su un’altra che, per problemi caratteriali forti suoi, non teneva minimamente alla sopravvivenza della struttura, anzi, cosa che peraltro il mio capo sapeva da me da anni, e questa seconda persona si rifiuta di fare alcunché per sostenere il mio subentro al posto del capo. Io scompaio così letteralmente dalla vista di chi decide, e questo fa molto comodo alla persona in questione che può mettere sempre più in luce una altra persona ancora, beniamina che si è portata appresso, ma che si trova in una situazione di fragilità tale che non le permette di affrontare il lavoro nella maniera necessaria, pur godendo di tutte le protezioni, gli aiuti e i mezzi che non ho mai avuto io. Molto più controllabile.

Il mio capo mi esorta nondimeno a scrivere ai livelli gerarchici più alti, per segnalare la mia esistenza dando nel contempo la disponibilità a compiti che non avrei voglia di fare e che forse non spetterebbe neppure a me fare: anche se concordiamo insieme il testo secondo le sue idee, viene meno alla promessa di sostenermi con un suo successivo intervento e se ne lava totalmente le mani dopo avermi mandato allo sbaraglio con i livelli dirigenziali. Meschina vendetta forse per il mio attivismo nel cercare sostegno per la struttura presso referenti interni.

Non appena l’altro sadico cui l’amato Draghi ha ridato in pasto i pubblici dipendenti privatizzati ne ha ventilato la possibilità, l’alta dirigenza ha deciso che i dipendenti nel mio ruolo non hanno in nessun caso diritto al lavoro agile, neppure in piena ondata pandemica, altra cosa che, obbligandomi a entrare in un luogo che ormai detesto per cinque giorni a settimana, aumenta il mio disgusto profondo per tutto ciò che gli si colleghi.

Infine viene nominato il nuovo capo, che non sono ovviamente io, il che non deve nemmeno dispiacere ai titolati extraconcorsuali di cui parlavo prima, specialmente in vista di progressioni e di cui non si può escludere un ruolo attivo in tal senso. Non ha i miei titoli, è più giovane di me, quindi la sua nomina non mi lascia speranza per il futuro, vive una situazione complicata che gli impedirà di prendere di petto le mille problematiche della struttura, condannata a continuare a degradarsi per una nauseabonda serie di circostanze dovute sostanzialmente all’ignavia, alla sfiducia nelle persone che ricoprono il mio ruolo e al disperato e unico desiderio dei referenti di livello medio-alto di non toccare gli equilibri, anche quando non danno alcun vantaggio se non quello di paralizzare una struttura per permettere di sopire le ansie di persone fondamentalmente disturbate ma di tanto buona famiglia.

Io, intanto ingrasso. Decisamente troppo. Decisamente non sto bene. 

Mi sono state chiuse tutte le strade e le prospettive davanti. Ce n’è abbastanza per volermene andare con tutta l’anima?




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