Oggi

"Data">Data Rivoluzionaria

pellegrinablog,chiocciolaquindi,gmail.com

per gli scribi

Toulouse en érasmienne

Visualizzazione post con etichetta MES. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta MES. Mostra tutti i post

sabato 18 aprile 2020

Quarantena, la miglior dieta, perfino il benessere


Rientrare perfettamente nella gonna più stretta, con tanto di due maglioncini infilati dentro.
Bien sûr, tu es moins stressée ha commentato ieri un’amica di Francia quando le ho detto al telefono che stavo dimagrendo. Perché ero depressa? Perché soffrivo?
Ma proprio no. Perché non dovevo andare in ufficio, ma lavoravo da casa, con orari precisi certo, ma in sostanziale libertà di gestirmi come meglio mi pareva. Niente più controlli sadici e pretestuosi, niente più arbitri per sfoggio di potere. Niente più sensazione di impotenza per la cattiva volontà altrui nel fornirmi i mezzi di lavoro: se non faccio una cosa è perché da qui non potrei comunque fare diversamente da quel che sto facendo, non perché non posso avere i minimi strumenti per farla. Niente più frustrazione perché non riesco a fare le cose, poiché non me ne danno i mezzi: nel tempo sospeso il quotidiano cambia. Niente più sensazione di star combattendo una battaglia inutile per cose che rientrerebbero nei doveri della struttura rispetto al servizio, ma di cui non importa nulla a nessuno. Niente più ipocrisia di pretendere da me un lavoro per cui mi si sottraggono i mezzi, divenendo via via più pignoli su una forma che non è mai sostanza, o meglio la cui sostanza sono il controllo, la colpevolizzazione strisciante, l’oppressione.

 Quindi, niente più voglia di dolci. Non rinnego niente: i dolci sono buoni!
Questo l’ultimo golosissimo cartoccio comprato prima della quarantena, quando era ancora aperta la pasticceria.

Ma oggi, perché mangiarli e farli? Li guardo, guardo le ricette, li pregusto e poi mi chiedo: ma perché? Ne ho davvero voglia? O mi sto stuzzicando con un godimento passeggero e forzato?
Di vino: ma perché aprire una bottiglia per un mezzo bicchiere?
Perché volersi stordire?
Sul serio: perché?
(N.b. Tutto ciò non ha nulla a che fare con penitenze pre pasquali variamente mascherate: non sono credente, sono profondamente estranea a ogni trascendenza, misticismo, pratica parareligiosa e se fossi obbligata a convertirmi con un coltello alla gola, come andava di moda in passato nelle nostre ridenti plaghe, sceglierei senza dubbio Lutero, o meglio ancora il credo danese.)



Riabbottonare i pantaloni più difficili, anche se non sono ancora portabili.

Insomma: stare lontana dall’ufficio per me ha significato la perdita di stimolo verso sostanze naturali, ché d’altro non m’intendo, che servono da gratificazione di sopravvivenza in situazione percepita come oppressiva e immutabile. Caduta verticale dell’interesse.


Indossare senza sforzo i pantaloni da medio termine, quelli che quando non stanno più bene suonano il mio personale campanello d’allarme.

Dopo le prime due settimane di confusione tra il giorno e la notte, ribellione alla precedente routine vissuta come oppressione, sopravviene come fonte che sgorga pura e tersa regolarità nei ritmi di vita e aumento graduale ma continuo del benessere.
Certo un po’ di montagna gioverebbe al fisico, dato che in casa posso giusto fare le scale, tutto il resto comprometterebbe la mia traballante schiena che comunque migliora pure lei.
Per fortuna di ricette se ne trovano in giro anche di leggere e istantanee

O curiose e fantasiose con tanto di consulenza personale che l’autrice non disdegna mai darmi.
E questo curiosamente mi basta.
Malgrado il pianto che mi coglie quando sento la mamma e suo marito persi nella malattia che la ottenebra scatenandole paure senza nome, e capisco che devo farli parlare per ridare loro la forza e abbassarne l’angoscia e poi mi resta dentro un muro di vetri che si sbriciola pur senza cadere, ché saper difendermene non è il mio mestiere.

Inoltre, paradossalmente la tragedia della strage che stiamo vivendo e che non dimentico mai, anche se il mio corpo rifiorisce, ha liberato la parola negli ambienti professionali. Anche grazie alla solidarietà dei colleghi, passano discorsi sulla politica economica che mai avrebbero potuto essere pronunciati poche settimane fa senza rischiare il rogo e l’anatema. Per quanto siano per me all’acqua di rose è un sollievo poter infine dire la rabbia provocata dall’oppressione e dall’autocensura che si avevano dentro, dopo decenni di retorica liberista UE risciacquata in salsa USAdem, l’unico discorso politico cosiddetto progressista ormai ammesso nelle patrie arene.

Ovviamente non posso che vivere come un ritorno al lucchetto e non il suo contrario, il canto degli alfieri della produzione. Malgrado i medici, peraltro non esenti da scivolate molto, molto brutte, siano     più che chiari sulla necessità di continuare nel distanziamento e nelle precauzioni soprattutto per quanto riguarda i luoghi chiusi e frequentati. Cioè appunto le fabbriche e gli uffici.

Altrettanto ovviamente son ben consapevole che se in queste circostanze, mentre tutti smaniano, io sto benone, esclusa l’ansia forte della ripresa della persecuzione, specialmente per quanto riguarda la partenza per la Francia, la mia situazione « normale » è perversa e malsana oltre il livello di guardia. Fino a piegarmi il corpo e lo spirito.

Soprattutto è malsano il fatto che essa possa in potenza continuare all’infinito, perché nulla è previsto per gestire queste situazioni sul lavoro, se non la cura, a volte, del singolo individuo, mai dell’ambiente. Come se ti dovessero insegnare al massimo ad andare a farti bastonare tutti i giorni purché involta in una corazza che ti mozza il fiato e ti piaga il corpo e l’anima, pur di non fermare la mano che impugna il bastone, perché il « problema » sono le costruzioni che tu fai intorno alla situazione, mai l’esistenza reale del sopruso e dell’abuso, solo fermando il quale potrai dopo curare realmente l’individuo, se ce ne fosse ancora bisogno - e verosimilmente la cura sarebbe molto più semplice, allora. Come sempre ributtando sull’individuo ogni responsabilità sociale proclamata ininfluente quando non inesistente.
 Con conseguente perdita sotto le mazze ferrate non solo per gli individui ma per le organizzazioni tutte di energie, idee, realizzazioni, speranze, creazioni. Benessere, respiro, felicità.



giovedì 16 aprile 2020

Se posso dirlo, nel mio particulare io starei benone

Magari proprio benone no, perché mi manca la Francia nel senso che sono inquieta sulla possibilità di posticipare la partenza, per mero malanimo di chi da qui dovrebbe autorizzarla, e mi manca vedere alcune persone, la mamma in primis, per i motivi che prima dicevo. Sono devastata dalla follia di chi sta imponendo all’Italia di entrare nella souricière del MES senza che ve ne sia alcuna ragione economica, anzi devastando il precario equilibrio esistente con l’introdurre un creditore privilegiato sottoscrivendo un prestito a condizioni stringenti e rigide, attivabili anche a distanza di anni, e ciò che è forse peggio in violazione della legge Moavero che imporrebbe su questo un mandato del Parlamento.
Ma a molte altre cose si rimedia scrivendo e telefonando.
Dopodiché io starei benone, sì, perché qualsiasi cosa abbia avuto a marzo ne sono guarita, perché finora non mi sono riammalata, perché ho la fortuna di non vivere in una zona devastata dall’epidemia, anche se non certo totalmente al sicuro, perché non appartengo a un gruppo a rischio e perché posso lavorare da casa senza perdere lo stipendio.
Ho perfino avuto la fortuna di chiacchierare con una nuova amicizia esuberante, allegra e concreta come lei che mi ha fatto l’onore di dirmi che le ho ispirato una creazione culinaria. Regali che non si dimenticano!
Ma fortuna a parte, sto benone perché ho potuto allontanarmi per giustificato motivo da un ambiente di lavoro che mi opprime oltre misura, per la mancanza di mezzi indotta che impone condizioni umilianti e paralizza qualsiasi tentativo di affrontare un problema, per i conflitti non risolti ma sedati a suon di urla, per l’ipocrisia sadica e controllante fine a sé stessa, per gli ambienti fatiscenti e abbandonati, per l’impotenza infine che ci tocca vivere. Certo lavorare lavoro, ma il controllo e la presenza si sono fatalmente trasformati e allentati.
Quanto alla vita extralavorativa, mancano i contatti e la natura. Ma io non potevo permettermi né viaggi, né cene, né aperitivi, né teatro né concerti né opera, né, sostanzialmente alcun consumo che non fosse una gita a scarpinare la domenica: benché la mia casa sia obiettivamente piccola, senza terrazzo né giardino né purtroppo sole diretto, la mia vita non è stata stravolta, è stata, bizzarramente, protetta.
Né ho mai pensato, per rispetto e solidarietà con chi a rischio della vita lavora all’esterno, di darmi all’acquisto online di sfizi per addolcire la segregazione.
Continuo la mia fisioterapia e oggi chi mi cura ha avuto quel suo sguardo sorpreso e attento di chi registra ogni variazione significativa e inaspettata che hanno a volte le persone di grande esperienza, quelle che le hanno viste tutte, quando gli ho detto sorridendo: « Io mi sento sempre meglio », ebbene sì, malgrado il moto ridotto, che ha sui miei malanni una pessima influenza, così è, per la prima volta da quando ho superato la fase di emergenza, da quasi due anni.
Ovviamente questo non vale una sola vittima né di morbo né economica. Ma qui sto parlando solo di me.
Insomma, a me questa quarantena, imposta per motivi più che ragionevoli e condivisibili, anche se con aspetti nevrastenici e idioti (vedi le restrizioni sulle passeggiate in solitaria o il raggio di 200 metri da casa o l’apertura posticipata dei mercati all’aperto fino alle 8.30 la mattina) non ha fatto male. Mi ha fatto stare meglio. Mi ha dato l’energia psicologica di affrontare lavoretti e sistemazioni in casa anziché abbattermi sul divano. Mi ha dato la sconfinata soddisfazione di chiudere i programmi sul computer all’ora esatta e ritrovarmi già a casa, padrona del mio tempo e dello spazio. Dovessi dire la verità, non ho fretta che finisca. E dovessi dire ancora di più, qualche collega mi confidava la stessa cosa.
Il che ovviamente dà la misura di quanto sia perversa la situazione che sono, siamo, in condizioni « normali » obbligati a vivere e ciò che è peggio, non per nobili scopi, bensì, spesso, senza vero motivo.