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Toulouse en érasmienne

giovedì 16 aprile 2020

Se posso dirlo, nel mio particulare io starei benone

Magari proprio benone no, perché mi manca la Francia nel senso che sono inquieta sulla possibilità di posticipare la partenza, per mero malanimo di chi da qui dovrebbe autorizzarla, e mi manca vedere alcune persone, la mamma in primis, per i motivi che prima dicevo. Sono devastata dalla follia di chi sta imponendo all’Italia di entrare nella souricière del MES senza che ve ne sia alcuna ragione economica, anzi devastando il precario equilibrio esistente con l’introdurre un creditore privilegiato sottoscrivendo un prestito a condizioni stringenti e rigide, attivabili anche a distanza di anni, e ciò che è forse peggio in violazione della legge Moavero che imporrebbe su questo un mandato del Parlamento.
Ma a molte altre cose si rimedia scrivendo e telefonando.
Dopodiché io starei benone, sì, perché qualsiasi cosa abbia avuto a marzo ne sono guarita, perché finora non mi sono riammalata, perché ho la fortuna di non vivere in una zona devastata dall’epidemia, anche se non certo totalmente al sicuro, perché non appartengo a un gruppo a rischio e perché posso lavorare da casa senza perdere lo stipendio.
Ho perfino avuto la fortuna di chiacchierare con una nuova amicizia esuberante, allegra e concreta come lei che mi ha fatto l’onore di dirmi che le ho ispirato una creazione culinaria. Regali che non si dimenticano!
Ma fortuna a parte, sto benone perché ho potuto allontanarmi per giustificato motivo da un ambiente di lavoro che mi opprime oltre misura, per la mancanza di mezzi indotta che impone condizioni umilianti e paralizza qualsiasi tentativo di affrontare un problema, per i conflitti non risolti ma sedati a suon di urla, per l’ipocrisia sadica e controllante fine a sé stessa, per gli ambienti fatiscenti e abbandonati, per l’impotenza infine che ci tocca vivere. Certo lavorare lavoro, ma il controllo e la presenza si sono fatalmente trasformati e allentati.
Quanto alla vita extralavorativa, mancano i contatti e la natura. Ma io non potevo permettermi né viaggi, né cene, né aperitivi, né teatro né concerti né opera, né, sostanzialmente alcun consumo che non fosse una gita a scarpinare la domenica: benché la mia casa sia obiettivamente piccola, senza terrazzo né giardino né purtroppo sole diretto, la mia vita non è stata stravolta, è stata, bizzarramente, protetta.
Né ho mai pensato, per rispetto e solidarietà con chi a rischio della vita lavora all’esterno, di darmi all’acquisto online di sfizi per addolcire la segregazione.
Continuo la mia fisioterapia e oggi chi mi cura ha avuto quel suo sguardo sorpreso e attento di chi registra ogni variazione significativa e inaspettata che hanno a volte le persone di grande esperienza, quelle che le hanno viste tutte, quando gli ho detto sorridendo: « Io mi sento sempre meglio », ebbene sì, malgrado il moto ridotto, che ha sui miei malanni una pessima influenza, così è, per la prima volta da quando ho superato la fase di emergenza, da quasi due anni.
Ovviamente questo non vale una sola vittima né di morbo né economica. Ma qui sto parlando solo di me.
Insomma, a me questa quarantena, imposta per motivi più che ragionevoli e condivisibili, anche se con aspetti nevrastenici e idioti (vedi le restrizioni sulle passeggiate in solitaria o il raggio di 200 metri da casa o l’apertura posticipata dei mercati all’aperto fino alle 8.30 la mattina) non ha fatto male. Mi ha fatto stare meglio. Mi ha dato l’energia psicologica di affrontare lavoretti e sistemazioni in casa anziché abbattermi sul divano. Mi ha dato la sconfinata soddisfazione di chiudere i programmi sul computer all’ora esatta e ritrovarmi già a casa, padrona del mio tempo e dello spazio. Dovessi dire la verità, non ho fretta che finisca. E dovessi dire ancora di più, qualche collega mi confidava la stessa cosa.
Il che ovviamente dà la misura di quanto sia perversa la situazione che sono, siamo, in condizioni « normali » obbligati a vivere e ciò che è peggio, non per nobili scopi, bensì, spesso, senza vero motivo.

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