Coem al solito devo piratare un intero articolo, che fra sette gionri non sarà più visibile: :-( e con pessime notizie, perdipiù.
Massimo Roccella
Ingiustizia è fatta
Il Parlamento ha approvato il «collegato lavoro» la legge che Napolitano aveva rimandato alle Camere
A fronte di una situazione sociale di gravità estrema (disoccupazione crescente, redditi reali calanti), governo e maggioranza sono tornati ad occuparsi delle questioni del lavoro nei termini a loro più consueti: con l'approvazione definitiva di una legge che porterà nuovi e gravi elementi di squilibrio fra imprese e lavoratori, a tutto svantaggio di quest'ultimi. Dopo essere stato rinviato alle camere dal Presidente della repubblica, il famigerato Collegato lavoro è ormai pronto a dispiegare i suoi effetti. Rispetto alla versione iniziale il testo presenta qualche miglioramento: il che, peraltro, non impedisce di coglierne l'obiettivo di fondo, riconoscibile nel tentativo di circoscrivere gli spazi della giurisdizione ordinaria, rendendo per i lavoratori più difficile e incerta la possibilità di far valere in sede giudiziaria la lesione dei propri diritti.
Resta vero, comunque, che tale obiettivo risulta perseguito con norme di diverso grado di pericolosità. La nuova disciplina della certificazione dei contratti di lavoro, che tanti allarmi ha suscitato, rappresenta, a ben vedere, null'altro che un ballon d'essai. Una volta che il giudice abbia accertato che nel contratto di lavoro certificato le parti hanno voluto inserire clausole contrastanti con norme inderogabili di legge e contratto collettivo, infatti, niente potrà impedirgli di dichiararne la conseguente nullità; né egli potrà sentirsi costretto a considerare legittimo un licenziamento per il mero fatto che nel contratto collettivo o, peggio ancora, nel contratto individuale certificato vengano considerati come giusta causa o giustificato motivo dello stesso comportamenti di rilievo irrisorio (un ritardo di pochi minuti nel presentarsi sul posto di lavoro, per fare un esempio, resta un comportamento di limitatissimo rilievo disciplinare, che nessun contratto certificato potrà legittimamente far rientrare nelle nozioni legali di giusta causa o giustificato motivo).
La nuova disciplina dell'arbitrato d'equità (che, stando alle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto consentire di destabilizzare radicalmente l'impianto del diritto del lavoro, legittimando gli arbitri a decidere secondo propri, soggettivi criteri di giustizia e, ciò che più conta, senza tener conto di norme inderogabili di legge e contratto collettivo) è stata significativamente ridimensionata. L'accordo fra le parti (ovvero la clausola compromissoria), che costituisce il presupposto della procedura arbitrale, non potrà riguardare le controversie in materia di licenziamento. In secondo luogo è stato precisato che il collegio arbitrale, per quanto d'equità, dovrà giudicare non più soltanto nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, ma anche dei principi regolatori della materia: fra i quali notoriamente rientra il carattere normalmente inderogabile della norma di legge lavoristica e delle clausole dei contratti collettivi. Lo spazio dell'arbitrato d'equità sembrerebbe ridotto all'osso. Ciò non toglie che, su una materia così delicata, sono state scritte norme confuse e pasticciate, foriere di un'infinità di controversie interpretative ed applicative, che nuoceranno ai lavoratori, ma, a ben vedere, alle stesse imprese. Né si può sottacere che non basta aver stabilito che la clausola compromissoria non possa essere stipulata prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, oppure almeno trenta giorni dopo la stipulazione del contratto in tutti gli altri casi, per far venir meno il carattere sostanzialmente obbligatorio dell'arbitrato, che continua a renderne la disciplina fortemente sospetta di illegittimità costituzionale. Soltanto ragionando in termini astratti e formalistici, infatti, si potrebbe sostenere che nella fase iniziale del rapporto i lavoratori (soprattutto quelli delle piccole imprese e gli assunti con contratti precari) potrebbero manifestare liberamente il proprio consenso alla rinuncia alla giustizia ordinaria in favore di quella arbitrale.
Le disposizioni più pericolose, anche per il loro carattere immediatamente operativo (quelle sull'arbitrato necessitano il previo raggiungimento di un'intesa fra le parti sociali), sono quelle che subordinano al rispetto di drastici termini di decadenza la possibilità di agire in giudizio. Non ha ottenuto alcun ascolto l'obiezione che la norma, che impone ai lavoratori precari (a termine, interinali, a progetto) di rispettare un breve termine di sessanta giorni per contestare la legittimità della cessazione del proprio contratto di lavoro, nella pratica si tradurrà in una sanatoria preventiva degli abusi: stante la notoria riluttanza di questi lavoratori ad attivarsi tempestivamente, nella speranza di non compromettere una nuova assunzione. L'aspetto più inaccettabile delle nuove regole va comunque visto nella forfettizzazione del risarcimento del danno spettante al lavoratore che si sia visto riconoscere l'illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro. Sino ad oggi il risarcimento andava ragguagliato in misura integrale alle retribuzioni perdute per effetto dell'illegittima cessazione del rapporto di lavoro; d'ora in poi andrà liquidato fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità di retribuzione, indipendentemente dall'entità del danno effettivo che, in ragione della durata del processo, potrebbe risultare ben superiore. Il principio costituzionale d'eguaglianza e quello del giusto processo sono stati messi all'angolo in un colpo solo.
Il Collegato lavoro rappresenterà adesso un doppio banco di prova. In prospettiva per l'opposizione, che, dopo averne ripetutamente contestato i contenuti, dovrà dimostrare la sua coerenza, assumendo inequivocabili impegni abrogativi nel contesto del programma con cui si presenterà alle prossime elezioni (anticipate o meno che siano). Nell'immediato per Confindustria, Cisl e Uil: se esse, nonostante la notoria contrarietà della Cgil, dovessero insistere sull'arbitrato d'equità, procedendo alla stipula dell'accordo prefigurato dalla legge, va da sé che si tratterebbe di un ulteriore colpo alle possibilità di ricucitura dei rapporti fra sindacati, che priverebbe di credibilità, al tempo stesso, la proclamata volontà di coinvolgere il sindacato più rappresentativo in un nuovo patto sociale.
AL LAVORO
A 15 ANNI
La legge sancisce anche la fine dell'obbligo scolastico a 16 anni. Viene introdotta infatti la possibilità di assolvere l'ultimo anno di scuola con un contratto di apprendistato.
Da Il Manifesto, venerdì 22 ottobre 2010
venerdì 22 ottobre 2010
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