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domenica 3 aprile 2022

Cosa non funziona nella copertura del conflitto russo-ucraino secondo i corrispondenti di guerra della grande stampa italiana

«Undici storici corrispondenti di grandi media lanciano l'allarme sui rischi della narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto. (...) 

«Se ci facciamo la domanda banale e brutale “chi ha ragione?”, la risposta è semplice: Putin è l’aggressore, l’Ucraina aggredita. Ma una volta data questa risposta inevitabile servirebbe discutere come si è arrivati fin qui: lì verrebbero fuori altre mille questioni molto meno nette, su cui occorrerebbe esercitare l’intelligenza» Toni Capuozzo, TG5.

«L'ex inviato del Corriere: "Questa non è più informazione, è propaganda". (...) L’ex TG5: "Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori. Trattare così il tema vuol dire non conoscere cos'è la guerra"»

Dichiarazioni molto interessanti di alcuni firmatari della lettera, riportata integralmente in fondo dal sito Senza bavaglio, si leggono su un articolo del Fatto quotidiano che riproduco anch’esso (sottolineature e ingrandimenti miei). Essi si interrogano non solo sull’atteggiamento che deve tenere chi per professione e non per propaganda informa, ma sul futuro stesso della loro professione: 

«Osservando le televisioni e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che qualcosa non funziona, che qualcosa si sta muovendo piuttosto male”. Inizia così l’appello pubblico di undici storici inviati di guerra di grandi media nazionali (CorriereRaiAnsaTg5RepubblicaPanoramaSole 24 Ore), che lanciano l’allarme sui rischi di una narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto nel giornalismo italiano (qui il testo integrale sul quotidiano online Africa ExPress). “Noi la guerra l’abbiamo vista davvero e dal di dentro: siamo stati sotto le bombe, alcuni dei nostri colleghi e amici sono caduti”, esordiscono Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Amedeo Ricucci, Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò. “Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell’era web avanzata. (...) “Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. 

Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo”.

L’opinione pubblica spinta verso la corsa al riarmo” 

Gli inviati, come ormai d’obbligo, premettono ciò che è persino superfluo: “Qui nessuno sostiene che Vladimir Putin sia un agnellino mansueto. Lui è quello che ha scatenato la guerra e invaso brutalmente l’Ucraina. Lui è quello che ha lanciato missili provocando dolore e morte. Certo. Ma dobbiamo chiederci: è l’unico responsabile? Noi siamo solidali con l’Ucraina e il suo popolo, ma ci domandino perché e come è nata questa guerra. Non possiamo liquidare frettolosamente le motivazioni con una supposta pazzia di Putin“. Mentre, notano, “manca nella maggior parte dei media (soprattutto nei più grandi e diffusi) un’analisi profonda su quello che sta succedendo e, soprattutto, sul perché è successo”. 

Quegli stessi media che “ci continuano a proporre storie struggenti di dolore e morte che colpiscono in profondità l’opinione pubblica e la preparano a una pericolosissima corsa al riarmo. 

Per quel che riguarda l’Italia, a un aumento delle spese militari fino a raggiungere il due per cento del Pil. Un investimento di tale portata in costi militari comporterà inevitabilmente una contrazione delle spese destinate al welfare della popolazione (e vabbé, che esista il deficit e non faccia male quando è governato dalla banca centrale, per chi ce l’ha, come si è visto in pandemia, tranne ai fanatici di Maastricht e della deflazione salariale, non gli entra in testa, passons). L’emergenza guerra – concludono – sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre”.

Alberizzi: “Non è più informazione, è propaganda” 

Parole di assoluto buonsenso, che tuttavia nel clima attuale rischiano fortemente di essere considerate estremiste. “Dato che la penso così, in giro mi danno dell’amico di Putin”, dice al fattoquotidiano.it Massimo Alberizzi, per oltre vent’anni corrispondente del Corriere dall’Africa. “Ma a me non frega nulla di Putin: sono preoccupato da giornalista, perché questa guerra sta distruggendo il giornalismo. Nel 1993 raccontai la battaglia del pastificio di Mogadiscio, in cui tre militari italiani in missione furono uccisi dalle milizie somale: il giorno dopo sono andato a parlare con quei miliziani e mi sono fatto spiegare perché, cosa volevano ottenere. E il Corriere ha pubblicato quell’intervista. Oggi sarebbe impossibile“. La narrazione del conflitto sui media italiani, sostiene si fonda su “informazioni a senso unico fornite da fonti considerate “autorevoli” a prescindere. L’esempio più lampante è l’attacco russo al teatro di Mariupol, in cui la narrazione non verificata di una carneficina ha colpito allo stomaco l’opinione pubblica e indirizzandola verso un sostegno acritico al riarmo. Questa non è più informazioneè propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni e nemmeno chi si informa leggendo più quotidiani al giorno riesce a capirci qualcosa”.

Negri: “Fare spettacolo interessa di più che informare” 

 “Questa guerra è l’occasione per molti giovani giornalisti di farsi conoscere, e alcuni di loro producono materiali davvero straordinari“, premette invece Alberto Negri, trentennale corrispondente del Sole da Medio Oriente, Africa, Asia e Balcani. “Poi ci sono i commentatori seduti sul sofà, che sentenziano su tutto lo scibile umano e non aiutano a capire nulla, ma confondono solo le acque. Quelli mi fanno un po’ pena. D’altronde la maggior parte dei media è molto più interessata a fare spettacolo che a informare”. La vede così anche Toni Capuozzo, iconico volto del Tg5, già vicedirettore e inviato di guerra – tra l’altro – in Somalia, ex Jugoslavia e Afghanistan: “L’influenza della politica da talk show è stata nefasta”, dice al fattoquotidiano.it. “I talk seguono una logica binaria: o sì o no. Le zone grigie, i dubbi, le sfumature annoiano. Nel raccontare le guerre questa logica è deleteria

Se ci facciamo la domanda banale e brutale “chi ha ragione?”, la risposta è semplice: Putin è l’aggressore, l’Ucraina aggredita. Ma una volta data questa risposta inevitabile servirebbe discutere come si è arrivati fin qui: lì verrebbero fuori altre mille questioni molto meno nette, su cui occorrerebbe esercitare l’intelligenza”.


Capuozzo: “In guerra i dubbi sono preziosi”

“Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori”, argomenta Capuozzo. “Invece è proprio in queste circostanze che i dubbi sono preziosi e l’unanimismo pericolosissimo. Credo che questo modo di trattare il tema derivi innanzitutto dalla non conoscenza di cos’è la guerra: la guerra schizza fango dappertutto e nessuno resta innocente, se non i bambini. E ogni guerra è in sè un crimine, come dimostrano la Bosnia, l’Iraq e l’Afghanistan, rassegne di crimini compiute da tutte le parti”. Certo, ci sono le esigenze mediatiche: “È ovvio che non si può fare un telegiornale soltanto con domande senza risposta. Però c’è un minimo sindacale di onestà dovuta agli spettatori: sapere che in guerra tutti fanno propaganda dalla propria parte, e metterlo in chiaro. In situazioni del genere è difficilissimo attenersi ai fatti, perché i fatti non sono quasi mai univoci. Così ad avere la meglio sono simpatie e interpretazioni ideologiche”. Una tendenza che annulla tutte le sfumature anche nel dibattito politico: “La mia sensazione è che una classe dirigente che sente di avere i mesi contati abbia colto l’occasione di scattare sull’attenti nell’ora fatale, tentando di nascondere la propria inadeguatezza. Sentire la parola “eroismo” in bocca a Draghi è straniante, non c’entra niente con il personaggio”, dice. “Siamo diventati tutti tifosi di una parte o dell’altra, mentre dovremmo essere solo tifosi della pace”».

Ovviamente tali osservazioni non piaceranno a coloro che « essendo studiati » e assidui frequentatori di media paralternativi solerti nel difendere gli interessi del commercio del gas statunitense ché è democratico e soprattutto lavato più verde, mirano ad accreditare le loro fonti come le sole attendibili della rete. Vabbè, non fosse che la reductio ad Hitlerum dovrebbe aver fatto il suo tempo, e che l’effetto di tali invocate reductiones nei passati conflitti, dall’Afghanistan alla Siria, ha lasciato sistematicamente dietro di sé armi in funzione, paesi in macerie, economie in frantumi (citarle oggidi’ va assai di moda, faccoltoeconsapevole) e genti disperate con una certa qual familiarità con le armi e gli esplosivi in giro pel pianeta. Ché una cosa è partire per scelta come vorrei io, altra è partire perché qualcuno ti ha devastato un luogo dove eri contento di vivere. 


 La lettera aperta dal sito: Senza bavaglio

«Osservando le televisioni e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che qualcosa non funziona, che qualcosa si sta muovendo piuttosto male.

Noi siamo o siamo stati corrispondenti di guerra nei Paesi più disparati, siamo stati sotto le bombe, alcuni dei nostri colleghi e amici sono caduti durante i conflitti, eravamo vicini a gente dilaniate dalle esplosioni, abbiamo raccolto i feriti e assistito alla distruzione di città e villaggi.

Abbiamo fotografato moltitudini in fuga, visto bambini straziati dalle mine antiuomo. Abbiamo recuperato foto di figli stipate nel portafogli di qualche soldato morto ammazzato. Qualcuno di noi è stato rapito, qualcun altro si è salvato a mala pena uscendo dalla sua auto qualche secondo prima che venisse disintegrata da una bomba.

Ecco, noi la guerra l’abbiamo vista davvero e dal di dentro.

Proprio per questo non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell’era web avanzata.

Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico.

Inondati di notizie, dicevamo, ma nessuno verifica queste notizie. I media hanno dato grande risalto alla strage nel teatro di Mariupol ma nessuno ha potuto accertare cosa sia realmente accaduto. Nei giorni successivi lo stesso sindaco della città ha dichiarato che era a conoscenza di una sola vittima. Altre fonti hanno parlato di due morti e di alcuni feriti. Ma la carneficina al teatro, data per certa dai media ha colpito l’opinione pubblica al cuore e allo stomaco.

La propaganda ha una sola vittima il giornalismo.

Chiariamo subito: qui nessuno sostiene che Vladimir Putin sia un agnellino mansueto. Lui è quello che ha scatenato la guerra e invaso brutalmente l’Ucraina. Lui è quello che ha lanciato missili provocando dolore e morte. Certo. Ma dobbiamo chiederci: ma è l’unico responsabile?

I media ci continuano a proporre storie struggenti di dolore e morte che colpiscono in profondità l’opinione pubblica e la preparano a un’inevitabile corsa verso una pericolosissima corsa al riarmo. Per quel che riguarda l’Italia, a un aumento delle spese militari fino a raggiungere il 2 per cento del PIL.

Un investimento di tale portata in costi militari comporterà inevitabilmente una contrazione delle spese destinate al welfare della popolazione.

L’emergenza guerra sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre. Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina.

Noi siamo solidali con l’Ucraina e il suo popolo, ma ci domandino perché e come è nata questa guerra. Non possiamo liquidare frettolosamente le motivazioni con una supposta pazzia di Putin.

Notiamo purtroppo che manca nella maggior parte dei media (soprattutto nei più grandi e diffusi) un’analisi profonda su quello che sta succedendo e, soprattutto, sul perché è successo.

Questo non perché si debba scagionare le Russia e il dittatore Vladimir Putin dalle loro responsabilità ma perché solo capendo e analizzando in profondità questa terribile guerra si può evitare che un conflitto di questo genere accada ancora in futuro. »

Massimo Alberizzi ex Corriere della Sera
Remigio Benni ex Ansa
Giampaolo Cadalanu – Repubblica
Tony Capuozzo ex TG 5
Renzo Cianfanelli ex Panorama
Cristano Laruffa Fotoreporter
Alberto Negri ex Sole 24ore
Giovanni Porzio ex Panorama
Amedeo Ricucci – RAI
Claudia Svampa ex Il Tempo
Vanna Vannuccini – Ex Repubblica
Angela Virdò ex Ansa

Il fatto che siano quasi tutti ex inviati in pensione la dice lunga su quanto e come la stampa sia oggi libera in Italia e quanto e come la precarietà abbia influito sulla libertà individuale dei giornalisti, un tempo categoria protetta e quindi potenzialmente più indipendente.


1 commento:

  1. Legittimi questi dubbi. Il gioco vittime-carnefice non è accettabile per adulti professionisti dell’informazione, semmai lo è per sceneggiatori.

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